Le case che si arrampicano sulla collina di Ressafreve erano ancora più colorate quel giorno. Il sole era forte, caldo come il cuore di un innamorato, lontano come il ricordo da cui Marina cercava di scappare, correndo sulla sua nuova graziella rossa, sfrecciando per il sentiero che conduce in cima, verso il paese.
Ressafreve era un piccolo borgo, quattro case, due anime e una strada. I ragazzini del paese negli anni settanta avevano deciso di dare un po' di colore alle loro vite, nel vero senso della parola. Stanchi della noia e del grigiore sul volto dei paesani, un giorno decisero di dipingere tutte le casette del borgo. Ad oggi non resta molto, se non l'eco del silenzio e il lento sbiadire di quei meravigliosi colori. Eppure quell'estivo assolato giorno del millenovecentosettantasette, tutto era ancora lì.
Marina sembrava una piccola biscia. Sinuosamente seguiva i tornanti e le curve in salita, quel biondo che brillava sotto la calura incalzava sempre più, come se mille bestie lo inseguissero. Gettò la bici in strada e si fiondò contro un portone. I pugni sbattevano forti con un ritmo di tre quarti, il corpo accompagnava il gesto di richiesta d'aiuto. Sull'uscio non uscì nessuno. Riprese selvaggia la bicicletta e continuò a correre.
Il paese sembrava disabitato come era rimasto Piedimonte, situato dal lato della collina appena traversato. A Ressafreve era rimasto sicuramente qualcuno, almeno Giuseppe, suo amico d'infanzia, eppure la vita sembrava nascondersi al bene per tramare in favore delle tenebre. Troppo vili i suoi abitanti per potersi curare del prossimo? Troppo pigri per poterne sentire la richiesta d'aiuto?
"Pè! Pè!", nessuna risposta.
martedì, agosto 19, 2014
La serpe in seno
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