Monica era particolarmente bella, quella notte.
Ci frequentavamo da circa quattro settimane e mai era stata bella come allora.
Con lo sguardo di chi il mondo lo aveva già addentato alla gola, sbranato, masticato, e infine sputato, mi guardava vogliosa, distesa sul mio letto.
Avevamo fatto l'amore, tutta la notte, e per tutta la notte le mie labbra non si erano mai allontanate dalla sua pelle.
Mi guardava, Monica, con indosso solo l'odore del mio sapore.
I capelli sconvolti, gli occhioni languidi: com'era bella Monica, quella notte.
I muscoli del suo viso si rilassavano sempre tantissimo, dopo una piacevole scopata; se gli orgasmi che le regalavo, perché uno non le bastava mai, erano abbastanza soddisfacenti, le si imprimeva inoltre un dolcissimo sorriso. E le si gonfiavano le labbra. Entrambe.
Si avvicinò ai piedi del letto e prese la mia maglietta nera dal mucchio dei nostri vestiti. "Nostri": quanto avrei voluto poter dare a quel termine un significato più profondo.
La indossò, e toccando con la pianta del piede destro, nudo, il pavimento gelido, poi poggiando in terra anche il piede sinistro, si alzò in piedi.
"Olimpiadi della Matematica 2012", citava la scritta bianca su fondo nero impressa sulla parte alta della maglia, davanti.
Una parte di me su di lei, ancora una volta.
Avevo constatato, durante quelle quattro settimane, che mi piaceva venire su ogni parte del suo corpo che reputassi bella.
Ho iniziato inondandole il petto e ricordo che quell'orgasmo fu particolarmente violento: getti lunghissimi di sperma mi permisero di apprezzare anche il suo sorriso, e la sua risata.
Successivamente venni sulla sua schiena e, oh, Dio, sui suoi incantevoli, lunghi piedi.
Non c'era una sola parte di lei che non avrei voluto sposare con una parte di me.
Mi sorrise maliziosamente e tirò indietro i capelli, inclinando la testa da un lato.
Aveva gli occhi che bramavano sesso: ancora, ancora.
Le labbra carnose erano ora ancora più gonfie e rosse, irrorate di sangue e piacere.
Ammetto di aver pensato "bella bocca, starebbe magnificamente attorno al mio cazzo", la prima volta che la vidi. Da allora, ogni volta che ci amavamo, mi complimentavo da solo per il gusto e la competenza posti nella scelta.
- Caro, che ne diresti di fumarci una bella sigaretta, io e te, fuori da questa stanza?
Era la sua frase di rito. La frase di rito della mia piccola Bukowski.
La ripeteva ogni settimana, dopo ogni nottata passata a scopare.
Erano le 5.30 del mattino, lo ricordo benissimo.
- Mais oui, Cherie - risposi con la mia, frase di rito.
Uscimmo fuori, in terrazza.
Era troppo presto per ammirare l'alba, ma troppo tardi per godere della notte.
Il freddo mi entrava nelle ossa e le frantumava, mi ricordava che ero ancora vivo, che ero ancora accanto a lei, che lei ancora accanto a me.
Monica fumava la sua sigaretta, sorridendo, e guardando verso l'orizzonte, costituito ormai da una schiera di palazzi. Chiudeva sempre gli occhi, quando aspirava una boccata di veleno, tirando indietro la testa. Al momento di espirare, li spalancava e con il naso cercava il gelo, muovendo ritmicamente le narici.
Era una donna spietata, spietata quanto bella. Ed io ero un uomo fottuto.
Conosco Monica ormai da quattro anni e dal nostro primo incontro non sono più stato in grado di discernere la realtà dalla fantasia.
Nelle mie fantasie, io sono il suo professore di matematica.
Nella mia realtà, lei è la mia prostituta settimanale.
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