L'odore del piscio si sentiva al di là della porta, per questo quel coyote urlava come un matto. Entrò, nel buio, sbattendo un bastone contro l'inferriata della finestra urlando: "Io vi ammazzo! Io vi ammazzo tutti piccoli bastardi", visibilmente paonazzo in volto. Avevo una paura fottuta.
"Piccolo, sono io, non avere paura", mi incitò la dolce Maria: mi tolse le schegge di legno infilzate nei polpastrelli e disinfettò i piccoli squarci. "Domani, vedrai, ti porteranno via di qui. Domani avrai una casa, piccolo". Mi sorrideva, sincera, ed io le credevo.
"Ringraziate che sono buono e non vi ho ancora trucidati tutti! Piccoli luridi bastardi! Ringraziate, sporchi luridi ingrati", urlava. Continuava a sbattere il bastone come un dannato, quel diavolo! Avevo tanta paura, volevo la mia mamma. Corsi in un angolo e mi pisciai addosso: lui mi vide.
Tornò con del disinfettante e delle pinzette chirurgiche e mi si avvicinò. Mi chiamò: "Piccolo, vieni". Non mi avvicinai, sebbene sapevo che voleva solo aiutarmi. "Andiamo su, vieni, piccolo", mi incalzava. Volevo davvero andare da lei e darle un bacino, ma ero vergognosamente sporco di piscio.
"Lurido figlio di puttana!", urlò e, sbattendo il bastone contro tutte le inferriate che mi separavano da lui, iniziò a correre verso di me, rosso in volto con gli occhi di un cane affamato, solo e ferito. Chiuso in un angolo, annaspando nel mio piscio, non potevo scappare e lui mi colpì forte con il bastone.
Maria era sempre tanto carina con me. Era passata a farmi una coccola, quella mattina, e a pulire il mio piscio, come tutte le mattine. Maria aveva i capelli raccolti e un'aria sempre stanca, eppure riusciva sempre a infondermi speranza quando mi sorrideva. Guaii e le mostrai la zampetta.
Le didascalie dispari descrivono i fotogrammi della notte. Le didascalie pari descrivono, in ordine inverso, i fotogrammi del giorno.
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