Ho appena voltato le spalle a quella che fino a ieri era casa mia, zaino con dentro un po' di cibarie e due rivoli di lacrime lungo le guance. Era ora di partire, mamma me lo aveva detto che un giorno sarei diventato un uomo, eppure mi ero tanto affannato per riuscire a procrastinare questo momento.
Tira un vento leggero e l'odore del grano mi fa pensare alla birra, al fatto che ne vorrei almeno due litri per poterci immergere la testa e affogarmi. Non riesco a voltarmi indietro, così mi incammino.
Ho portato con me una bussola con la speranza di non perdermi, anche se di fatto non ho bene idea di dove devo andare.
"E' ora di crescere", mi ero detto mentre ripiegavo il sacco a pelo. Ma a che pro?
Non posso continuare a guardare il mondo con gli occhi grandi e brillanti di un bambino?
Non posso continuare a sorprendermi della cattiveria che arma le mani delle persone?
"E' ora di crescere". Mah, fuori farà sicuramente freddo, così ho portato una coperta.
Sento piangere mia sorella e diventa quasi un sottofondo che si mescola con il soffiare del vento. Il vecchio del paese mi guarda andare via, con il suo gracile peso gettato sulla vanga che impugna; muove leggermente l'angolo della bocca, ad accennare un sorriso che non può più permettersi, e mi guarda finché riesce senza scostare il capo.
Il vento si è portato via il dolore di mia sorella. Forse un giorno riuscirà a farlo anche col mio.
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