Mi chiedo cosa vogliono dirci, i tuoi occhi. Me lo chiedo ogni fottuto giorno che passo a guardarti; ogni volta che vorresti ridere, e non lo fai, e ti trattieni. Me lo chiedo persino quando tutti piangono e tu, impassibile, non batti ciglio.
Pensa che, addirittura, sto scrivendo dei racconti, su di te: sulla stessa persona che non leggerà mai queste righe.
Ma la colpa, in fondo, è sempre e solo mia: per tutte le volte che ti ho invitato al mare, a mangiare un gelato, a giocare a carte; per tutte le volte che ho provato ad avvicinarmi a te, così bella, eppure, così triste.
La tua tristezza è inconcepibile, inespugnabile, inarrivabile, indescrivibile: sei talmente triste che hai solo un velo, che occulta i tuoi occhi. Uno stupido, piccolo, labile velo. Mai una lacrima. Mai un gesto di sconforto. Solo un velo, un velo perenne. Che razza di tristezza, infinita, oserei dire!
Sei la mia sfida. Cazzo, e arrenditi!
"Pensavo di scrivere meglio di quanto credessi. Mi rendo conto, però, che lo stile e l'incisione mi restano in testa. E sulla carta c'è solo un cumulo di cagate male espresse." (cit.)
RispondiEliminaDovresti provare a metterci la tua voce.
RispondiEliminaUn radio-blog.
Sia chiaro che esigo il copyright spirituale.
E poi, basta fustigarti.
Va benissimo.
Giusto un appunto da GZ (Grammar Nazi): "in fondo",
staccato, e non "infondo", che è voce del verbo "infondere".
Keep on rockin', Bi.
Thanks, GZ!
RispondiElimina