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Monica non era una semplice puttana. A lei piaceva molto conversare, leggere e ascoltare musica.
Non ricordava troppo spesso di avere queste remote passioni. Spesso non aveva proprio tempo di ricordare di essere altro, oltre che uno stupendo corpo.
Monica spendeva tutti i suoi soldi in manicure, cosmetici e lingerie. Spendeva tutti i suoi soldi per guadagnarne il decuplo. Doveva essere sempre al top, perché aveva dei clienti che erano il top. Top manager. Top business man. Aveva anche lui, ma più per pena che altro.
Quando guadagnava abbastanza soldi da potersi permettere un giorno di riposo, Monica si alzava presto la mattina e correva in libreria ed acquistava almeno tre libri. Un po' come le donne fanno con le scarpe o le minigonne, appena hanno un piccolo risparmio da investire. Correva a casa, si spogliava e con indosso solo la vestaglia di seta nera, accendeva il camino e si sdraiava sul divano. Leggeva, leggeva tutto il giorno.
Divorava le pagine come una iena azzanna una carcassa di bisonte. Le sbranava. Non faceva in tempo ad assimilare le prime due che subito si era fiondata sulle successive, e ancora e ancora.
Affamata di libri, affamata d'amore.
La sua vita contava poco, per lei. Finché era giovane e bella, aveva deciso che non se ne sarebbe curata. Finché poteva fare quel lavoro, non le interessava. Un giorno avrebbe dovuto smettere, ahimè. Quello stesso giorno sarebbe stata o la sua svolta o la sua rovina. Avrebbe dovuto affrontare la vita e capire cosa fare del tempo che le rimaneva. Quel giorno doveva accettare di crescere, avere un lavoro e una famiglia, diventare borghese e anonima. Quel giorno era ancora lontano.
A Monica piaceva tantissimo leggere perché la allontava dai dispiaceri della vita.
Leggere la proiettava in modi paralleli, in cui poteva essere tutto quello che non era, conoscere storie di gente messa peggio di lei, apprendere come tirare avanti leggendo di persone che vivevano esattamente il suo disagio. Magari non suicidarsi, ecco. Cercare di non affondare, reggere l'anima con i denti. Solo la lettura la faceva sentire libera.
Libera di non pensare, di non fissare un cellulare che squilla solo visualizzando i nomi dei suoi dannati, arrapati clienti e basta, che la reclamano e la vogliono, che reclamano e vogliono il suo corpo. Avidi.
Libera di non ammettere di sentirsi schiava di una vita che non le piace, che non la soddisfa.
Libera di non dover affrontare un dolore troppo grosso a cui lei non riesce tuttora in alcun modo a porre rimedio.
Le piaceva leggere e le piaceva anche sperare che un giorno anche la sua vita sarebbe diventata un libro.
Le piaceva immaginare le altre persone intente a leggere di lei e sentirsi confortare con la sua storia, magari a lieto fine. Se poi lei si suicidava, era la nuova Madame Bovary. "Non male", pensò.
Le piaceva immaginare di poter indirettamente aiutare a smuovere le povere miserabili vite di quei lettori che come lei hanno solo bisogno di smuovere le loro esistenze come un alito di vento smuove le pagine di un grosso libro aperto su un tavolo di vetro, al centro di un salone che ha i vetri del balcone spalancato.
Potrebbe chiederlo a lui. E' un professore di matematica, ma magari ha la passione per la scrittura.
"Potremmo fare l'amore e poi con indosso una di quelle magliette che a lui piace farmi indossare, potrei chiedergli di scrivere di me, potrei raccontargli la mia vita", pensò.
Subito dopo si ritrasse da quel goffo e sdolcinato pensiero: con i clienti non si hanno simili rapporti intimi. Tutto ciò è assolutamente fuori discussione.
"Io sono le sue fantasie, l'infermiera che lo cura quando è malato, la compagna e donna forte che lo perdona quando sbaglia, l'amorevole moglie che lo attende paziente. Io sono quello che lui vuole che io sia. Sono ciò di cui lui ha bisogno, sono ciò che non possiede un'anima, figurarsi un bisogno. Sono pagata per questo. Soddisfare i suoi di bisogni, non i miei. A nessuno importa dei miei bisogni. Io sono solo un'invisibile anima dentro un corpo da urlo. Di me, non importa niente a nessuno".
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