La guardava e la mangiava con gli occhi. Voleva riempirla di baci, continuamente. La teneva seduta sulle sue ginocchia: magra, così piccola da sembrare ancora una bambina. Guardavano le stelle sul terrazzo di lei, seduti su una piccola sedia di plastica bianca. Le accarezzava la schiena, si avvicinava con la punta delle dita a sfiorarle un fianco e risalendo poi sulla curva della vita. Era bella, la guardava e pensava che era davvero splendida.
"Sei bellissima, Bi".
"Certo, come no!", rispose sorridendogli e gli baciò la fronte.
Avrebbe voluto davvero che lei gli credesse, avrebbe voluto farla sentire bella, bella come nessun'altra; avrebbe voluto che lei ne fosse consapevole, che se ne convincesse una dannata volta.
Le accarezzava i capelli, ricci ma sempre troppo corti. Lei gli baciava la fronte e chiudeva gli occhi in un attimo che sembrava eterno. La tranquillità era così tangibile che la respirava a pieni polmoni, diventava un peso dentro la pancia e l'ancorava sempre di più a quelle gambe che la sorreggevano; s'imprimeva in quella carne che avrebbe voluto tenere sempre sottomano, in quei muscoli che avrebbe voluto vedere più sicuri, più forti; s'immergeva in quei capelli che sapevano di pace, di voglia di vivere qualcosa che fosse più simile a quello che sentiva ma che non riusciva ad avere; s'insinuava sulle labbra che avrebbe voluto baciare con maggiore trasporto e per più tempo, ma senza pretese e senza fretta, in cui ogni momento era così lento e diluito da far abbassare la pressione e non sentire più le gambe.
Chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro la spalla di lei che gli accarezzava la mano, che con le dita disegnava tante piccole spirali invisibili, come l'immagine sbiadita e inesistente di quella sera.
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