La vecchia di Borgo Mugnano sembrava essere lì da sempre.
D'estate sedeva su una sdraio un po' sbilenca, di legno chiaro, ed il suo insulso peso era sorretto da un telo azzurro e giallo, come la bella stagione. Non ho mai capito a che ora uscisse di casa per sedersi davanti l'uscio su quella sdraio. Sono passata davanti casa sua a tutti gli orari. Alle nove del mattino, che andavo al mare, e alle sei di sera, che mi ricoglievo. Alle nove di sera, che uscivo per andare in paese a prender aria nella piazza, e alle sei del mattino, quando rincasavo da una notte brava. Ad un certo punto ho realizzato che forse in casa non ci entrava mai, non cucinava e non mangiava ed era per questo che era ridotta ad un mucchio d'ossa con un foulard verde pisello in testa. Sembrava che lei vivesse lì, su quella sedia torta tutta l'estate, per poi ritirarsi soltanto in autunno dentro casa. Era una tartaruga che viveva un letargo al contrario: col sole faceva il digiuno, con la neve si sfamava per affrontare la prossima bella stagione.
Aveva gli occhi color del ghiaccio, di un azzurro così chiaro e luminoso che sembravano ritagli d'acqua di ruscello che brillavano sotto il sole d'agosto. Era raro riuscire a vederglieli, tanto era coperta di molli rughe. Un paio di volte ci sono riuscita e non ho dormito per tre giorni.
Mi sono sentita scrutare nei pensieri più sporchi, come se quegli occhi indagatori uscissero allo scoperto per segnalarti che stavolta stavi proprio esagerando, che loro se ne erano accorti e se non la piantavi te l'avrebbero fatta scontare. Alzava tantissimo quel che le restava delle sopracciglia per poterli tirare fuori dalla pelle che le cadeva floscia e abbondante sul volto.
Nonostante questo, era immensamente bello uscire e sapere che lei era lì. Mi faceva sentire sempre una bambina, come se il tempo non passasse mai. Invece passavano le ore, i giorni, ma lei era sempre lì, come se nel suo esistere mancasse una dimensione o come se quest'ultima non potesse scalfirla, supponendone l'esistenza. Frattanto che lei sedeva sull'uscio di casa sua, a me cresceva il seno, il naso ma non le gambe, forse sintomo di un'infanzia mendace. Il tempo passava, passava eccome, passava per me e per gli altri bambini intorno, ma non per lei. Noi ci annoiavamo se anche solo ci ritrovavamo cinque minuti senza alcun da fare e ci chiedevamo come lei potesse stare tutto il giorno, tutto il santo giorno con gli occhi socchiusi seduta su quella sdraio senza mai muoversi e senza mai parlare. Doveva essere una specie di santa oppure un'aliena che lasciava il suo corpo stazionato su quella sedia mentre con la mente era altrove, ancora giovane e bella. Oppure era in trans e anche se a noi era tutto nascosto, lei in realtà passava il suo tempo nell'oltretomba con il suo amato marito defunto. Non lo abbiamo mai saputo.
Era eterea ed eterna e nessuno ha memoria del suo vero nome e lei da troppi anni aveva smesso di parlare. L'unica cosa certa che sapevamo era il suo cognome, Esposito, scritto in vernice color oro sulla cassetta verde delle lettere. La chiamavano "Mariù", forse perché era figlia di pescatori o forse perché era figlia del mare stesso.
Nel murales che adorna la sua casa in via casale ventitré, lei è ancora lì, su quella sdraio lorda e usurata.
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