mercoledì, agosto 22, 2012

209 km, 43 ore, 6 giorni

Ti penso fortissimo, così forte da fare rumore, da essere tangibile; come il tuo dito, che con tocco leggero, mi alza il viso, prendendomi sotto il mento.
E le mie labbra si avvicinano alle tue, pericolosamente. Ho gli occhi chiusi e ti aspetto.
Aspetto il tuo tocco, il tuo bacio, con le labbra socchiuse, a goccia.
Mi sfiori una mano, con la tua la accarezzi, delicatamente, lentamente.
Poi la prendi, la stringi, e mi baci.

Mentre ci baciamo, intrecciamo dita e nocche, in un lento combattimento per la supremazia del piacere. Graffiami appena, sirena.

Le nostre labbra si muovono pianissimo, quasi per non destarsi dal sonno. Restano chiuse, avvinghiate. Poi lentamente si aprono, per cingersi ancora, e restare incollate.
Immobile, assaporo il tuo odore, respiro il tuo respiro, m'inebrio di te.
Mi rilasso, sotto la coltre che ci isola dal mondo, dove siamo io e te. Il resto, non conta.

Immagino il profumo della tua pelle salata, la profondità del perdersi nei tuoi occhi di cucciola, condividendo un respiro ed un'anima. Poni una mano sul mio petto, e ascolta il mio cuore battere all'unisono con il tuo.

Sento il tuo cuore, lo sento come fosse il mio. Batte fortissimo, sembra voglia saltar fuori dal tuo petto ed entrare nel mio. Rimbomba nell'aria circostante, la riempie, ed ora è colma di te: del suono del tuo amore. Voglio sentirti ancora più vicino, voglio fondermi in una sola cosa perdendo l'orientamento e la concezione di me.
Per far ciò, con l'altra mano ti tengo la guancia destra, la sento sotto le dita.
Ti accarezzo appena con il pollice, e lascio che entri in me attraverso il palmo.
Sei così bello, ti voglio proteggere, ti voglio custodire: ti terrò dentro di me, al sicuro, ti lascerò scorrere nelle mie vene, e non ti mancherà niente.
 
Sono senza parole, per quanto mi sento il cuore in gola, per quanto mi streghi, ogni giorno, per quanto vorrei ora abbracciarti da dietro e farti sentire immune da ogni pericolo, perfetta, splendente e caldissima nella fusione, di ogni cosa.

domenica, agosto 12, 2012

La morsa del passato

"Mi spiace, siamo chiusi", dissi sbattendogli la porta in faccia.
Sapevo che non sarebbe finita lì, la discussione: lo sentivo schiumare, quel verme.
Mi agitava la sua presenza, mi intimoriva. Era come avere un cappio al collo, ogni volta che ritornava. Era diventata un'ossessione. Era lui la mia, o io la sua?

Avevamo deciso, una sera, di separare le nostre strade, per sempre.
"Tu torni indietro, da dove sei venuto," gli intimai, "io proseguo".
L'accordo era preso, ed io non volevo trattare oltre.
"Va bene". Sorrise. "Principessa, stai attenta: guardati sempre le spalle".

Con le spalle poggiate contro la porta, reclinai indietro la testa, provando a distanziare il collo dal legno. Il cuore, quello no, non veniva via, non si staccava, il torace era rimasto appiccicato, come la mosca lenta muore affogando nel miele.
Lo sentivo, quel bastardo. Ansimava, fremeva dalla voglia di strangolarmi con quel cappio che mi porto dietro. Riuscì di scatto a voltarmi, ma il cuore non ne voleva sapere, niente. Restava lì, ancorato alla porta, ancorato a lui, oltre la porta. Faticavo a respirare, tanto stretta era la morsa.
Guardai dallo spioncino. Era lì, davanti a me, con i suoi capelli corti, gli occhi enormi e gialli, e la bianca schiuma che colava dalla bocca, giù, lungo il collo.
Faticavo a respirare e mentre lo guardavo, mi sentivo morire.
Non riuscivo a voltarmi. Non riuscivo a chiudere gli occhi. Non riuscivo a fare niente.
Mi guardò, abbassò leggermente il capo, tenendo fisso lo sguardo, penetrando il mio, ed io lo vedi sdoppiarsi, incredula.
Il cuore fagocitò il mio urlo di disperazione: non gli bastava più il sangue, non gli bastava più niente, aveva bisogno di impadronirsi di tutto ciò che di materiale e astratto mi riguardava; aveva smesso di rispondere ai miei comandi ed ero diventata la linfa vitale di me stessa, il mio stesso pranzo.
Era orribile. Ero agghiacciata.

"Questa giornata con te è stata magnifica, ed è tutto merito tuo. Tu, sei magnifica. Grazie, grazie, grazie...". Non mi libererò mai di queste parole. Non svincolerò mai il cervello da questo terribile ricordo.

Lo ripeti ancora, da anni, ormai.
Lo ripeti ancora, a me, adesso, oltre quella porta.
Lo ripeti ancora: stavolta il desiderio di morire che provo, è doppio.

Quando i sensi smettono di guidarti

Why can't you hear me? Why can't you feel me? 
Oh, why can't you hear me? Why don't you heal me? 
So I am nothing if I'm not with you. In the morning, we'll forget this night somehow.