venerdì, dicembre 27, 2013

Vuoi sapere perché scrivo?

C'è chi scrive per bisogno, chi scrive per hobby.

C'è chi scrive con l'intento di costruire un mondo migliore di questo, al fine di darsi una speranza con cui animare il proprio risveglio al mattino, pensando che le cose non fanno così schifo per tutti, come per lui.

C'è chi scrive animato dallo stesso bisogno, tramutando la sua necessità di sentirsi meglio nella costruzione di un mondo in cui le speranze sono sparite da tempo. Solo per sentirsi meno solo nella casa di dolore in cui vive, oppure per sentirsi migliore al pensiero che c'è chi sta peggio di lui. Anche se per soddisfare quest'ultima parte, non è spesso necessario inventare una storia.

C'è chi crea questi universi paralleli solo per sentirsi potente, per poter avere pieno controllo di vita e morte, desolazione e gioia, di tutto coloro che li abitano.

C'è chi necessita di espedienti narrativi perché ha un disperato bisogno di dire qualcosa. Qualcosa di vero, qualcosa di pieno. Qualcosa che verrebbe sminuito se raccontato a voce, qualcosa che diventa motivo di riflessione solo se letto, solo con la giusta musica di sottofondo.

C'è chi scrive per sfogo, per incanalare la rabbia in un modo più "sano" che andare in giro a distruggere tutto quello che ha costruito.

C'è chi scrive per condividere una gioia, una notizia, per poter far passare una bella mezz'ora a chi legge.

Io non so perché scrivo. Scrivo e basta.

martedì, dicembre 24, 2013

Vorrei che leggessi di me

Previous: Lo scollo a barca

Monica non era una semplice puttana. A lei piaceva molto conversare, leggere e ascoltare musica.
Non ricordava troppo spesso di avere queste remote passioni. Spesso non aveva proprio tempo di ricordare di essere altro, oltre che uno stupendo corpo.

Monica spendeva tutti i suoi soldi in manicure, cosmetici e lingerie. Spendeva tutti i suoi soldi per guadagnarne il decuplo. Doveva essere sempre al top, perché aveva dei clienti che erano il top. Top manager. Top business man. Aveva anche lui, ma più per pena che altro.

Quando guadagnava abbastanza soldi da potersi permettere un giorno di riposo, Monica si alzava presto la mattina e correva in libreria ed acquistava almeno tre libri. Un po' come le donne fanno con le scarpe o le minigonne, appena hanno un piccolo risparmio da investire. Correva a casa, si spogliava e con indosso solo la vestaglia di seta nera, accendeva il camino e si sdraiava sul divano. Leggeva, leggeva tutto il giorno.
Divorava le pagine come una iena azzanna una carcassa di bisonte. Le sbranava. Non faceva in tempo ad assimilare le prime due che subito si era fiondata sulle successive, e ancora e ancora.
Affamata di libri, affamata d'amore.

La sua vita contava poco, per lei. Finché era giovane e bella, aveva deciso che non se ne sarebbe curata. Finché poteva fare quel lavoro, non le interessava. Un giorno avrebbe dovuto smettere, ahimè. Quello stesso giorno sarebbe stata o la sua svolta o la sua rovina. Avrebbe dovuto affrontare la vita e capire cosa fare del tempo che le rimaneva. Quel giorno doveva accettare di crescere, avere un lavoro e una famiglia, diventare borghese e anonima. Quel giorno era ancora lontano.

A Monica piaceva tantissimo leggere perché la allontava dai dispiaceri della vita.
Leggere la proiettava in modi paralleli, in cui poteva essere tutto quello che non era, conoscere storie di gente messa peggio di lei, apprendere come tirare avanti leggendo di persone che vivevano esattamente il suo disagio. Magari non suicidarsi, ecco. Cercare di non affondare, reggere l'anima con i denti. Solo la lettura la faceva sentire libera.

Libera di non pensare, di non fissare un cellulare che squilla solo visualizzando i nomi dei suoi dannati, arrapati clienti e basta, che la reclamano e la vogliono, che reclamano e vogliono il suo corpo. Avidi.
Libera di non ammettere di sentirsi schiava di una vita che non le piace, che non la soddisfa.
Libera di non dover affrontare un dolore troppo grosso a cui lei non riesce tuttora in alcun modo a porre rimedio.

Le piaceva leggere e le piaceva anche sperare che un giorno anche la sua vita sarebbe diventata un libro.
Le piaceva immaginare le altre persone intente a  leggere di lei e sentirsi confortare con la sua storia, magari a lieto fine. Se poi lei si suicidava, era la nuova Madame Bovary. "Non male", pensò.
Le piaceva immaginare di poter indirettamente aiutare a smuovere le povere miserabili vite di quei lettori che come lei hanno solo bisogno di smuovere le loro esistenze come un alito di vento smuove le pagine di un grosso libro aperto su un tavolo di vetro, al centro di un salone che ha i vetri del balcone spalancato.

Potrebbe chiederlo a lui. E' un professore di matematica, ma magari ha la passione per la scrittura.
"Potremmo fare l'amore e poi con indosso una di quelle magliette che a lui piace farmi indossare, potrei chiedergli di scrivere di me, potrei raccontargli la mia vita", pensò.
Subito dopo si ritrasse da quel goffo e sdolcinato pensiero: con i clienti non si hanno simili rapporti intimi. Tutto ciò è assolutamente fuori discussione.
"Io sono le sue fantasie, l'infermiera che lo cura quando è malato, la compagna e donna forte che lo perdona quando sbaglia, l'amorevole moglie che lo attende paziente. Io sono quello che lui vuole che io sia. Sono ciò di cui lui ha bisogno, sono ciò che non possiede un'anima, figurarsi un bisogno. Sono pagata per questo. Soddisfare i suoi di bisogni, non i miei. A nessuno importa dei miei bisogni. Io sono solo un'invisibile anima dentro un corpo da urlo. Di me, non importa niente a nessuno".

Next: Una vita alla finestra

giovedì, dicembre 19, 2013

Io e te

Quando ho terminato la lettura di "Io e te" di Ammaniti, avevo una grandissima voglia di tirare il libro con il vetro del treno e piangere. Probabilmente i miei cinque vicini di scompartimento in treno non sarebbero stati della stessa idea, ma cristo!, come si può non farlo?!
Ho faticato tantissimo nel reprimere le lacrime, la furia e la voglia di urlare: "MA VAFFANCULO".

E' il secondo libro che finisco che mi lascia proprio l'amaro in bocca. Quel sapore di schifo, che ti fa arricciare il naso e contorcere la bocca. Quel sapore di merda che ti fa anche aggrottare le sopracciglia. L'altro era "Un Amore" di Buzzati. Quanto disagio.

Ringrazio sentitamente chi me li ha regalati e approfitto di questo intermezzo per segnalargli che "Io e te" me lo ha regalato senza una dedica. Mi piacerebbe che si ponesse rimedio a questo bianco discinto.

Dopo aver finito il libro e lottato contro le tenebre, ho mangiato tutte le unghie, grattato ogni crosta che avevo in viso e quelle che non avevo, me le sono create da sola per tirare via anche quelle.

Poi mi sono calmata e ho capito all'istante perché avevo una voglia immensa di piangere.

Ci sono cose che accadono nella nostra vita a cui, lì per lì, magari diamo poca importanza. Cose che successivamente, invece, si rivelano essere dei punti di svolta nel modo di fare, pensare, percepire.

Sono sempre stata una persona troppo cinica per poter davvero dare all'amore l'importanza che forse merita. Ho sempre sostenuto che un rapporto di coppia è la cosa più inutile in cui si possa investire. Le persone sono merda, le persone ci feriscono, ci usano, ci svuotano, ci tradiscono e poi se ne vanno.

Credo di essere cambiata. La mia sorte non è molto diversa da quella che è sempre stata, non ho avuto migliore fortuna: la gente mi ha ferito e mi ferisce tuttora, ma ho deciso di voler provare ad investire tutto anche in questo campo.
Mi sono accorta di aver modificato la mia opinione al riguardo, nel momento in cui ho capito perché così tante fortissime e tristissime emozioni mi avessero assalito al termine della lettura.

Mi sono ricordata di quella volta, su quella panchina.
Credo che come poche cose, quella scena la ricorderò per sempre.
Siamo rimasti a parlare, io e te, fino all'alba. L'abbiamo vista fare capolino lontano sulla riva del fiume. Abbiamo parlato per ore e ore e ore. In realtà, più che altro, ho parlato io.
Ho parlato con te, che all'epoca eri solo un estraneo, con un talento a dir poco sbalorditivo nel giocare a campo minato, che mi aveva offerto un gin lemon nel modo più cortese e inaspettato che si possa immaginare, che mi aveva intrigato con il suo fare misterioso e sicuro.
Ho parlato con te di tutto quello che all'epoca ero, pensavo, provavo. Ti ho raccontato le mie più segrete paure, i miei più grandi desideri, le mie più remote ambizioni. Mi sono spogliata, accanto a te in quel gelido dicembre, di tutto quello che non mi serviva più, di tutto quello che non ho mai voluto o potuto condividere con nessuno, perché forse nessuno si era mai dimostrato abbastanza valido da aiutarmi.
Ho parlato di me per tantissimo tempo mentre lì accanto mi ascoltavi paziente, guardando avanti.

Ecco, quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita.
Dopo una serie di inutili relazioni con compagni più o meno improbabili, sono riuscita a sentirmi "a casa" con un totale estraneo. Parlavo come se tu non ci fossi, come se mi stessi ricordando le cose e in mente mia le snocciolassi.
Mi sono sentita voluta, e non sempre rifiutata da gente che non ha voglia, non ha tempo di aiutarmi ma pretende il mio, di aiuto.
Mi sono sentita accettata, come se finalmente avessi trovato qualcuno a cui importasse di me. Qualcuno che non ambisse solo al mio corpo, qualcuno interessato a quello che ha sempre nascosto la mia intricata persona. Mi sono sentita in pace con il mondo, serena.
Mi sono sentita per una volta nella mia vita importante per qualcuno. Importante davvero, non importante del tipo "sì, ti amo, sei la vita mia" e poi ti sputo in un occhio quando ho a che fare con te. Mi sono sentita come se finalmente qualcosa che ho da sempre immensamente voluto reprimere dentro di me, avesse trovato una naturale collocazione: io e te, e si fosse estrinsecata in tutta la sua potenza.

Da allora ti amo ogni giorno di più, anche se le cose vanno ogni giorno peggiorando.
Sono convinta di aver trovato la mia collocazione nell'universo ed è accanto a te.
Quando non ci sei, nemmeno pranzare ha più significato, come se vivere o morire non fossero poi concetti così differenti. Quando non ci sei è come se di colpo fosse tutto come un anno fa, con un tempo uggioso e un cielo che non risparmia e ti avvolge con un grigio che ti entra nella ossa e le fa marcire.
Non ha più senso niente, senza di te. Nemmeno alzarsi al mattino.