venerdì, dicembre 27, 2013

Vuoi sapere perché scrivo?

C'è chi scrive per bisogno, chi scrive per hobby.

C'è chi scrive con l'intento di costruire un mondo migliore di questo, al fine di darsi una speranza con cui animare il proprio risveglio al mattino, pensando che le cose non fanno così schifo per tutti, come per lui.

C'è chi scrive animato dallo stesso bisogno, tramutando la sua necessità di sentirsi meglio nella costruzione di un mondo in cui le speranze sono sparite da tempo. Solo per sentirsi meno solo nella casa di dolore in cui vive, oppure per sentirsi migliore al pensiero che c'è chi sta peggio di lui. Anche se per soddisfare quest'ultima parte, non è spesso necessario inventare una storia.

C'è chi crea questi universi paralleli solo per sentirsi potente, per poter avere pieno controllo di vita e morte, desolazione e gioia, di tutto coloro che li abitano.

C'è chi necessita di espedienti narrativi perché ha un disperato bisogno di dire qualcosa. Qualcosa di vero, qualcosa di pieno. Qualcosa che verrebbe sminuito se raccontato a voce, qualcosa che diventa motivo di riflessione solo se letto, solo con la giusta musica di sottofondo.

C'è chi scrive per sfogo, per incanalare la rabbia in un modo più "sano" che andare in giro a distruggere tutto quello che ha costruito.

C'è chi scrive per condividere una gioia, una notizia, per poter far passare una bella mezz'ora a chi legge.

Io non so perché scrivo. Scrivo e basta.

martedì, dicembre 24, 2013

Vorrei che leggessi di me

Previous: Lo scollo a barca

Monica non era una semplice puttana. A lei piaceva molto conversare, leggere e ascoltare musica.
Non ricordava troppo spesso di avere queste remote passioni. Spesso non aveva proprio tempo di ricordare di essere altro, oltre che uno stupendo corpo.

Monica spendeva tutti i suoi soldi in manicure, cosmetici e lingerie. Spendeva tutti i suoi soldi per guadagnarne il decuplo. Doveva essere sempre al top, perché aveva dei clienti che erano il top. Top manager. Top business man. Aveva anche lui, ma più per pena che altro.

Quando guadagnava abbastanza soldi da potersi permettere un giorno di riposo, Monica si alzava presto la mattina e correva in libreria ed acquistava almeno tre libri. Un po' come le donne fanno con le scarpe o le minigonne, appena hanno un piccolo risparmio da investire. Correva a casa, si spogliava e con indosso solo la vestaglia di seta nera, accendeva il camino e si sdraiava sul divano. Leggeva, leggeva tutto il giorno.
Divorava le pagine come una iena azzanna una carcassa di bisonte. Le sbranava. Non faceva in tempo ad assimilare le prime due che subito si era fiondata sulle successive, e ancora e ancora.
Affamata di libri, affamata d'amore.

La sua vita contava poco, per lei. Finché era giovane e bella, aveva deciso che non se ne sarebbe curata. Finché poteva fare quel lavoro, non le interessava. Un giorno avrebbe dovuto smettere, ahimè. Quello stesso giorno sarebbe stata o la sua svolta o la sua rovina. Avrebbe dovuto affrontare la vita e capire cosa fare del tempo che le rimaneva. Quel giorno doveva accettare di crescere, avere un lavoro e una famiglia, diventare borghese e anonima. Quel giorno era ancora lontano.

A Monica piaceva tantissimo leggere perché la allontava dai dispiaceri della vita.
Leggere la proiettava in modi paralleli, in cui poteva essere tutto quello che non era, conoscere storie di gente messa peggio di lei, apprendere come tirare avanti leggendo di persone che vivevano esattamente il suo disagio. Magari non suicidarsi, ecco. Cercare di non affondare, reggere l'anima con i denti. Solo la lettura la faceva sentire libera.

Libera di non pensare, di non fissare un cellulare che squilla solo visualizzando i nomi dei suoi dannati, arrapati clienti e basta, che la reclamano e la vogliono, che reclamano e vogliono il suo corpo. Avidi.
Libera di non ammettere di sentirsi schiava di una vita che non le piace, che non la soddisfa.
Libera di non dover affrontare un dolore troppo grosso a cui lei non riesce tuttora in alcun modo a porre rimedio.

Le piaceva leggere e le piaceva anche sperare che un giorno anche la sua vita sarebbe diventata un libro.
Le piaceva immaginare le altre persone intente a  leggere di lei e sentirsi confortare con la sua storia, magari a lieto fine. Se poi lei si suicidava, era la nuova Madame Bovary. "Non male", pensò.
Le piaceva immaginare di poter indirettamente aiutare a smuovere le povere miserabili vite di quei lettori che come lei hanno solo bisogno di smuovere le loro esistenze come un alito di vento smuove le pagine di un grosso libro aperto su un tavolo di vetro, al centro di un salone che ha i vetri del balcone spalancato.

Potrebbe chiederlo a lui. E' un professore di matematica, ma magari ha la passione per la scrittura.
"Potremmo fare l'amore e poi con indosso una di quelle magliette che a lui piace farmi indossare, potrei chiedergli di scrivere di me, potrei raccontargli la mia vita", pensò.
Subito dopo si ritrasse da quel goffo e sdolcinato pensiero: con i clienti non si hanno simili rapporti intimi. Tutto ciò è assolutamente fuori discussione.
"Io sono le sue fantasie, l'infermiera che lo cura quando è malato, la compagna e donna forte che lo perdona quando sbaglia, l'amorevole moglie che lo attende paziente. Io sono quello che lui vuole che io sia. Sono ciò di cui lui ha bisogno, sono ciò che non possiede un'anima, figurarsi un bisogno. Sono pagata per questo. Soddisfare i suoi di bisogni, non i miei. A nessuno importa dei miei bisogni. Io sono solo un'invisibile anima dentro un corpo da urlo. Di me, non importa niente a nessuno".

Next: Una vita alla finestra

giovedì, dicembre 19, 2013

Io e te

Quando ho terminato la lettura di "Io e te" di Ammaniti, avevo una grandissima voglia di tirare il libro con il vetro del treno e piangere. Probabilmente i miei cinque vicini di scompartimento in treno non sarebbero stati della stessa idea, ma cristo!, come si può non farlo?!
Ho faticato tantissimo nel reprimere le lacrime, la furia e la voglia di urlare: "MA VAFFANCULO".

E' il secondo libro che finisco che mi lascia proprio l'amaro in bocca. Quel sapore di schifo, che ti fa arricciare il naso e contorcere la bocca. Quel sapore di merda che ti fa anche aggrottare le sopracciglia. L'altro era "Un Amore" di Buzzati. Quanto disagio.

Ringrazio sentitamente chi me li ha regalati e approfitto di questo intermezzo per segnalargli che "Io e te" me lo ha regalato senza una dedica. Mi piacerebbe che si ponesse rimedio a questo bianco discinto.

Dopo aver finito il libro e lottato contro le tenebre, ho mangiato tutte le unghie, grattato ogni crosta che avevo in viso e quelle che non avevo, me le sono create da sola per tirare via anche quelle.

Poi mi sono calmata e ho capito all'istante perché avevo una voglia immensa di piangere.

Ci sono cose che accadono nella nostra vita a cui, lì per lì, magari diamo poca importanza. Cose che successivamente, invece, si rivelano essere dei punti di svolta nel modo di fare, pensare, percepire.

Sono sempre stata una persona troppo cinica per poter davvero dare all'amore l'importanza che forse merita. Ho sempre sostenuto che un rapporto di coppia è la cosa più inutile in cui si possa investire. Le persone sono merda, le persone ci feriscono, ci usano, ci svuotano, ci tradiscono e poi se ne vanno.

Credo di essere cambiata. La mia sorte non è molto diversa da quella che è sempre stata, non ho avuto migliore fortuna: la gente mi ha ferito e mi ferisce tuttora, ma ho deciso di voler provare ad investire tutto anche in questo campo.
Mi sono accorta di aver modificato la mia opinione al riguardo, nel momento in cui ho capito perché così tante fortissime e tristissime emozioni mi avessero assalito al termine della lettura.

Mi sono ricordata di quella volta, su quella panchina.
Credo che come poche cose, quella scena la ricorderò per sempre.
Siamo rimasti a parlare, io e te, fino all'alba. L'abbiamo vista fare capolino lontano sulla riva del fiume. Abbiamo parlato per ore e ore e ore. In realtà, più che altro, ho parlato io.
Ho parlato con te, che all'epoca eri solo un estraneo, con un talento a dir poco sbalorditivo nel giocare a campo minato, che mi aveva offerto un gin lemon nel modo più cortese e inaspettato che si possa immaginare, che mi aveva intrigato con il suo fare misterioso e sicuro.
Ho parlato con te di tutto quello che all'epoca ero, pensavo, provavo. Ti ho raccontato le mie più segrete paure, i miei più grandi desideri, le mie più remote ambizioni. Mi sono spogliata, accanto a te in quel gelido dicembre, di tutto quello che non mi serviva più, di tutto quello che non ho mai voluto o potuto condividere con nessuno, perché forse nessuno si era mai dimostrato abbastanza valido da aiutarmi.
Ho parlato di me per tantissimo tempo mentre lì accanto mi ascoltavi paziente, guardando avanti.

Ecco, quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita.
Dopo una serie di inutili relazioni con compagni più o meno improbabili, sono riuscita a sentirmi "a casa" con un totale estraneo. Parlavo come se tu non ci fossi, come se mi stessi ricordando le cose e in mente mia le snocciolassi.
Mi sono sentita voluta, e non sempre rifiutata da gente che non ha voglia, non ha tempo di aiutarmi ma pretende il mio, di aiuto.
Mi sono sentita accettata, come se finalmente avessi trovato qualcuno a cui importasse di me. Qualcuno che non ambisse solo al mio corpo, qualcuno interessato a quello che ha sempre nascosto la mia intricata persona. Mi sono sentita in pace con il mondo, serena.
Mi sono sentita per una volta nella mia vita importante per qualcuno. Importante davvero, non importante del tipo "sì, ti amo, sei la vita mia" e poi ti sputo in un occhio quando ho a che fare con te. Mi sono sentita come se finalmente qualcosa che ho da sempre immensamente voluto reprimere dentro di me, avesse trovato una naturale collocazione: io e te, e si fosse estrinsecata in tutta la sua potenza.

Da allora ti amo ogni giorno di più, anche se le cose vanno ogni giorno peggiorando.
Sono convinta di aver trovato la mia collocazione nell'universo ed è accanto a te.
Quando non ci sei, nemmeno pranzare ha più significato, come se vivere o morire non fossero poi concetti così differenti. Quando non ci sei è come se di colpo fosse tutto come un anno fa, con un tempo uggioso e un cielo che non risparmia e ti avvolge con un grigio che ti entra nella ossa e le fa marcire.
Non ha più senso niente, senza di te. Nemmeno alzarsi al mattino.

domenica, novembre 17, 2013

Amnesie e bipolarismo: essere Hyde e non saperlo.

C'è una cosa che dovete sapere di me: mi dimentico le cose.
Mi dimentico le cose? Mi dimentico le cose...

Credo fortemente che per capire, almeno parzialmente, il soggetto che andate a leggere, dovete sapere più cose di quelle che attualmente conoscete.
Non vi si richiede conoscenza circa il buco dell'ozono, la quantistica, l'andamento del sovrappeso negli Stati Uniti. Non so esattamente quale grado di conoscenza, relativamente a poi chissà quale ambito, vi si richiede.
Facciamo finta di niente e andiamo oltre.
Cosa stavamo dicendo? Ah sì, mi dimentico le cose.

Soffro di disturbo bipolare e ho spesso gravi amnesie a breve termine: non ricordo cosa dico mentre lo faccio, non ricordo cosa ho mangiato ieri e con chi ho scopato un'ora fa; a volte non ricordo il nome di mia madre, sebbene io l'abbia accompagnata un mese fa a fare la spesa.

E' come se ogni giorno per me fosse totalmente nuovo e totalmente a caso.
Come tutti i poveri sfigati, il disturbo di cui soffro ha un potente lato negativo: ricordo benissimo quello che ho fatto molto tempo fa.

E' come se le cose negative, che faccio o mi succedono, non riescono a ferirmi davvero: dopo cinque minuti le ho dimenticate. Eppure, giacciono lì, sul fondo del mio cervello, dove stagnano ed iniziano ad emergere qualche settimana dopo.

Mi ritrovo ad avere pensieri, ricordi di una persona che io di fatto non conosco.

Se ora uccido un gatto, dopo dieci minuti guardo il corpo e mi chiedo chi possa avergli fatto del male. Magari piango anche, perché no!
Vivo spensieratamente per due settimane e ad un certo punto inizio a sentire un grosso peso sulla coscienza. Inizio a ricordare di un gatto, il corpo di un gatto morto lì sulla strada. Inizio a vedere una mano che si muove in direzione della povera bestia. Vedo il tormento, sento i lamenti che squarciano l'aria intorno.

Vedo tutto, so tutto, sento tutto ciò che riguarda una persona che non conosco.
Ma che mi appartiene.

sabato, novembre 09, 2013

Schiava d'amore

Il giorno 8/7/13 scrissi:
"Cosa è in grado di fare un uomo per amore? Tutto.
Non credo davvero che ci sia qualcosa che non sia disposto a fare, niente che con un po' di impegno sincero non sia in grado di fare.
Un uomo per amore scalerebbe montagne a mani nude, superando la paura delle vertigini, quella di cadere e di sentirsi piccolo confrontato con il mondo.
Si tufferebbe in acque pericolose pur di non deludere la sua bella.
Credo che imparerebbe perfino a cucire, per amore."


Le rileggo, a distanza di 4 mesi.
Le rileggo e mi chiedo se davvero le cose funzionano così.

Davvero un uomo per amore è in grado di fare tutto? Probabilmente no.
Probabilmente, però, una donna, per amore, è in grado di sopportare tutto.

Sopporta le menzogne e perdona ripetutamente.
Veste il molteplice ruolo di donna, suddividendosi in madre, compagna e puttana.
Talvolta, è disposta ad illudersi che un giorno, quel bugiardo, potrà amarla davvero; che un giorno, quel bugiardo, deciderà di affrontare per amor suo la più grande paura: crescere.

Ma è davvero necessario che la donna debba sempre ridursi al ruolo di schiava d'amore?
E' davvero inevitabile?

lunedì, ottobre 07, 2013

Can you find me a job?

Quando ciò che ho intorno si muove più in fretta di quanto posso sopportare, quando il dolore provocato da questi cambiamenti diventa insostenibile e quando tutto sembra andare così di merda da renderlo irreale, io inizio a costruire qualcosa che mi faccia sentire ovattato.

Inizio a crearmi un universo parallelo, in parte fittizio, in parte assordante ma dannatamente reale.
Sono una persona che per sopravvivere ha bisogno di un computer, di una tazza di caffè e di una grossa mole di lavoro da sbrigare: è per questo che io sono ancora viva, per lavorare.

Un effetto collaterale nel crearsi un mondo parallelo è, appunto, la sensazione del sentire ovattato.
Io me ne accorgo subito quando mi sono allontanato da quello che voi vivete mentre vi muovete e parlate e interagite gli uni con gli altri intorno a me: me ne accorgo perché inizio a non sentire più i discorsi, mentre dico "sì, certo", e poi chiedo di ripetere; me ne accorgo perché non riesco nemmeno più a mettere a fuoco le immagini, sono decisamente troppo troppo veloci per me.

Quando non ho bisogno di pensare, o non voglio farlo, perché altrimenti decido di non alzarmi dal letto, decido di lavorare.
Quando non ho un lavoro, faccio di tutto per ottenerne uno, più di uno, quanto basta per lasciarmi una quantità di tempo libera per dormire 6 ore a notte e svegliarmi già stanca, con il solo pensiero di tutto quello che ancora ho da fare. Lavorare mi piace, mi fa sentire importante, utile, sana.

Ho bisogno di fare qualcosa in modo accettabile, perché fare qualcosa bene è chiedere già troppo.
Bene: per farlo mi butto anima e corpo nel lavoro: più ne ho, più probabilità ho di non fallire.

Farei volentieri lo stesso con le relazioni, ma se ne avessi più di una sarei automaticamente una puttana.

venerdì, ottobre 04, 2013

Society

Society, you're a crazy breed
I hope you're not lonely without me

Society, crazy and deep
I hope you're not lonely without me 

Society, have mercy on me
I hope you're not angry if I disagree

venerdì, settembre 20, 2013

Questione di karma

L'universo funziona, pare. Non ho ancora ben capito come, ma funziona.
Magari ha qualche problema ogni tanto: s'inceppa una lovestory, muore un familiare, ricorre una separazione. Dovremmo solo soffermarci a riflettere che la vita va avanti anche senza di noi.

Moltissime persone hanno bisogno di trovare risposte a domande vaghe e spesso insensate come: "perché siamo qui ora?" o "qual è lo scopo della vita?".
Domande che una risposta nemmeno ce l'hanno.
Nessuna persona morta torna indietro a dire cosa c'è dall'altra parte dell'esistenza. Nessuno scienziato vivente sarà in grado di calcolare lo scopo di tutto.

Eppure, anche se ci sediamo sui gradini di Piazza dei Cavalieri guardando in direzione di Via dei Mille attendendo passare un'azzurra bicicletta, l'universo continua a fare il suo corso: la gente si muove, vive, interagisce. Le vite s'intrecciano e tutto funziona secondo uno strano matematico meccanismo. Noi esseri umani non possiamo comprendere tutto ciò, altrimenti avremmo già cambiato tutte le regole.

Moltissime persone al karma non ci credono. Secondo me, invece, è una cosa che, anche se spesso apparentemente insensata, ha una particolare rilevanza nella vita delle persone. A volte si dice: "quant'è buffo il destino, guarda cosa ha fatto succedere". Ma le persone sono artefici del proprio destino, in bene o in male. Questo, è il karma.

Tre amiche si erano separate e per far quadrare i conti, a livello di schema di armonia universale che si palesa sotto la forma di alcune tragedie quasi simultanee, si sono riavvicinate. E' successo quasi come a pagare dell'errore che hanno commesso nel perdersi.

Un amore mai nato, un amore degenerato, un amore malato.
Un unico filo conduttore, che si beffa dei sorrisi della gente, con cui vorrei poter tagliare a fette questo silenzio.

giovedì, settembre 19, 2013

Una goccia di vita

Una larghissima maglietta da uomo, nera, con la stampa del famoso whiskey che porta il tuo nome.
Niente di intimo sotto di essa, se non un groviglio di ricordi e pensieri.
Calzettoni fin proprio sotto il ginocchio.
Occhi spiaccicati contro il vetro per guardare questa pioggia cadere su tutto.

martedì, settembre 17, 2013

Levante


Tu ru ru, berrei volentieri un caffè
Mi pestano i piedi da un'ora
Ho le scarpe da sera ma non sono in vena

Corre l'anno 2013, in mano alcolici... e niente più

Che vita di merda

sabato, settembre 14, 2013

giovedì, settembre 12, 2013

Guardiamo avanti

Vorrei chiederti di ricordare tutto il buono che c'è stato, al fine di smettere per una volta di mentire e di smettere di agire o parlare per rabbia o vendetta, ma mi rendo conto che non servirebbe a niente se non ad allontanarci sempre di più.

Crescere significa ammettere cose che persino a noi stessi abbiamo voluto nascondere. Io ho deciso di iniziare.

martedì, agosto 20, 2013

Barcellona 2.0

Guardo la tua foto e penso che mi piacerebbe tantissimo scriverti. Non che io abbia qualcosa da dirti, in realtà. Non ti conosco nemmeno, non ho idea di chi tu sia. Non conosco il tuo colore preferito, il tono della tua voce. Non conosco il tuo volto a cinque anni e se non per foto, non conosco il tuo volto neppure adesso.

Eppure mi piacerebbe moltissimo scriverti. Vorrei sapere come sono andati questi dieci giorni di vacanza, com'è stato il tuo soggiorno a Barcellona, come ti trovi in questa azienda in cui lavori da molti anni, come ti trovi con la tua fidanzata.

E così cambio destinatario: anche se mi rode ancora di più guardare la tua, di faccia. I capelli nuovi, rasati da un lato. Mi piacerebbe molto scrivere anche a te, ma credo che sarebbe ancora più svilente di quanto possa solo immaginare.
Frasi a metà, risposte non date, discorsi ipocriti: credo che sia tutto quello che puoi darmi.

Eppure mi piacerebbe moltissimo scriverti, ci penso ogni giorno. Vorrei parlare di quello che una volta era tuo e che ora è mio, di come hai fatto a non renderti conto della bellezza e dell'amore, di come hai accartocciato una persona riducendola ad ammassarsi su se stessa. Vorrei parlare con te per conoscere che persona sei, che persona eri, che persona ha fatto innamorare l'uomo che amo.

Guardo le vostre foto e mi piacerebbe conoscervi. Conoscere quello che io non saprò mai se non univocamente; quello che a tutti i costi non dovrei nemmeno voler chiedere. Vorrei tantissimo farmi del male, in modo consapevole. Ascoltare e farmi uscire il sangue dalle orecchie, digrignare i denti per sopire la voglia sfrenata di alzarmi ed avvicinarmi a te per spaccarti il setto nasale. Voglia di farmi del male gratuito, senza che ci sia un vero motivo. Ascoltare di quando eravate piccoli e innocenti e vi tenevate la mano, mentre io sono qui con il mio ammasso di paranoie insensate solo perché non sono in grado di essere felice.

Mi piacerebbe davvero conoscervi, probabilmente senza un motivo, ma mi piacerebbe davvero che un giorno accadesse. Chissà, magari il giorno del vostro matrimonio.

venerdì, agosto 09, 2013

EN

Ho sempre avuto paura di morire.
Spesso l'ho desiderato.
Quando ho iniziato ad assumere sedativi, ho iniziato a pensare che forse la vita non era poi così malaccio.
Quando me li hanno tolti, mi sono ricordata di che posto infernale è questo.

lunedì, agosto 05, 2013

Effetto Venezia


A volte nella vita non si può che attendere.
Altre volte, non si può che rimanere in silenzio.
Assaporare la pace intorno con la punta della lingua e farsela bastare, perché appena un po' di più potrebbe uccidere.

Ci si rende conto della mancanza di qualcuno quando la vita s'è portata via tutto, anche il sonno oltre che quella persona, e la notte, quando si riesce a zittire i pensieri per lasciarsi cullare dal tepore del letto, ci si ritrova svegli, urlando a causa di un incubo.
Ecco, ci si rende conto che manca davvero qualcuno, quando accesa la luce, si è soli nel letto con una paura fottuta.

Due giorni fa è successa un'altra cosa che mi ha fatto provare l'immenso dolore del sentire la mancanza di qualcuno; più che altro la delusione del sentirsi impotente nei confronti delle scelte o paure dell'altro.
Ho provato una sensazione stranissima: quella di vivere in un film, come se nulla fosse reale.

Due giovani ragazzi muovevano due marionette sulle note di alcune canzoni dal testo struggente. La ragazza muoveva la marionetta di una donna, con un bel vestito teatrale stile can can. Il ragazzo muoveva la marionetta di un uomo, vestito per bene anch'esso con stile retrò. Le marionette danzavano a ritmo di musica e compievano gesti relativi al testo della canzone.

Erano incantevoli, allo stesso tempo inquietanti.
Ricordo che sono rimasta a guardarli a bocca aperta, spalancata, mentre i burattini con fare disinvolto muovevano occhi, piedi e scioglievano le giunture per compiere il gesto di mandarsi un bacio.
Mi sono sentita proiettata in quella marionetta di donna e ho provato l'immensa paura di rimanere impigliata in un groviglio che non si può districare di invisibili fili trasparenti

Ho pensato alla vita, in particolare a quella di coppia; ho pensato a come siamo vincolati a quei fili, che intrappolano la nostra mente e condizionano le nostre azioni con un intrecciato ingarbuglio di paure e insicurezze.
Ho pensato a come sarebbe bello fare un gesto inaspettato alle spalle del burattinaio, tagliare i fili che ci costringono per poter essere finalmente liberi di muoverci e correre incontro al nostro amato.

domenica, agosto 04, 2013

Mio caro diario

Caro diario,
vorrei dirti tante cose, molte delle quali forse non hanno nemmeno più senso.

Vorrei raccontarti di quella volta in cui mi hai vista piangere, fiumi e fiumi di lacrime. Ti ricordi? Com'ero piccola e fragile, quel giorno. Ricordo che nemmeno la promessa di una brioche con il gelato mi faceva sentire meglio.
Eppure, mio caro diario, ricordo che sebbene mi sentissi uno scricciolo con un enorme peso in gola, non ero sola. Lui era accanto a me; asciugandomi le lacrime mi sorrise e mi porse la mano, mi sollevò e mi portò con sé.

Vorrei raccontarti, mio caro diario, di quella volta in cui mi sono sentita importante nella vita di qualcuno. Vorrei raccontarti di tutte le volte in cui gli ho stretto le mani fra le mie, forte forte, o di quelle volte in cui sul mio petto ho lasciato che piangesse. Vorrei raccontarti tutte queste cose, mio caro diario, ma sento che sarebbe superfluo, perché a parole non sarei in grado di farti capire quanto lui mi facesse sentire importante quando chiedeva il mio aiuto o quando era in grado di aiutarsi da solo.

Mi piacerebbe parlarti degli abbracci, caldi e avvolgenti, come stare seduti davanti ad un camino con una coperta di pile sulle spalle, nel pieno dell'inverno. Mi piacerebbe raccontarti dell'amore e della passione, mio caro diario, ma non mi basterebbe una pagina, né dieci, né cento.

Mi piacerebbe raccontarti, mio caro diario, delle pagine della nostra vita ancora da scrivere. Ad esempio, della casa da condividere, in cui lasciar convivere le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre aspirazioni e le nostre paure; lì in casa nostra lasciare che tutte le parti di noi, anche quelle che disprezziamo e che l'altro può aiutarci a combattere e sconfiggere, come un drago nelle fiabe, siano libere di manifestarsi e confrontarsi, con il massimo dell'amore e della sincerità.

Vorrei raccontarti, mio caro diario, di quella volta sulla panchina, di come ho smesso di sentirmi sola e di come, in un turbine di parole e lacrime, mi sono voltata per incontrare i suoi occhi e perdermi. Ah, ma come potresti capire, in poche righe e con poche parole. Ma vorrei che tu sapessi, mio caro diario, che quando con i suoi occhioni mi guardava, tutto sembrava avere un senso, anche il dolore.

Oh, mio caro diario, come si complicano le cose!
I ricordi si confondono con i desideri, le paure diventano problemi. Sarebbe tutto così semplice se solo si iniziasse davvero a credere un minimo in se stessi. Ci renderemmo conto che siamo dei gran fichi! Inizieremmo ad essere persone migliori, se solo fossimo in grado di stimarci abbastanza da armarci di coraggio per sconfiggere il drago.

Sai, mio caro diario, spesso le principesse più belle sono state già promesse sin da bambine ad un principe, spesso contro la loro volontà.
Credo che sia arrivato il momento, mio caro diario, di rubare ai ricchi per dare ai poveri, perché sono proprio essi, quelli meritevoli, se solo ci credessero.

lunedì, luglio 08, 2013

Lo scollo a barca


Gli incontri si stavano facendo più assidui e una maglietta non bastava più. Adorava vederla con indosso solo quello, i seni liberi sotto il tessuto e il culo che le si scopriva appena quando si alzava. Amava vederla vestita così, la faceva sentire sua. Era l'unica cosa, che la faceva davvero sentire sua.
Entrava dalla finestra, facendosi spazio fra il legno delle persiane, il primo raggio di sole di luglio. Caldo e raggiante, si posava sulle sue labbra e le illuminavano: sembravano vellulate di ciliegie, così succose e rosse.
Monica dormiva ancora e alle prime luci dell'alba, in penombra, era più bella che mai.

Costava ad ore, Monica, ed ogni minuto passato in sua compagnia era prezioso ed irripetibile, così puro e candido da sembrare falso.
Appena lei si addormentò, egli corse in cucina a prepararsi mille caffè, per poterla guardare dormire tutta la notte: piccola, bruna e delicata come una creatura fatata del Nord.
Respirava lentamente e non faceva rumore; sembrava quasi sorridere, mentre dormiva. Leggera e delicata, spensierata anche durante il sonno.

Si fece mattina e suonò la sveglia. Trasalì, erano le nove: l'ora di andare via.
Monica si svegliò, si diresse verso il bagno e si vestì; in cinque minuti era già pronta per lasciarlo.

Gli disse: "Caro, avrei bisogno che tu mi lasciassi dei soldi. Carina, la maglietta che mi hai regalato, ma è un po' asfissiante. E' fin troppo accollata ed io soffoco dormendo con una roba del genere. Vorrei comprarmi qualcosa di aperto"."Va bene, Monica, capisco perfettamente. Cosa ne dici se provvedo io a procurarti ciò che desideri?".
Lo guardò un po' sdubbiata ma accettò, lo baciò sulla fronte e andò via.


Cosa è in grado di fare un uomo per amore? Tutto.

Non credo davvero che ci sia qualcosa che non sia disposto a fare, niente che con un po' di impegno sincero non sia in grado di fare.

Un uomo per amore scalerebbe montagne a mani nude, superando la paura delle vertigini, quella di cadere e di sentirsi piccolo confrontato con il mondo.
Si tufferebbe in acque pericolose pur di non deludere la sua bella.
Credo che imparerebbe perfino a cucire, per amore.


E' quello che fece: si armò di gesso bianco, cotone per imbastitura, cotone in tinta con la maglia e un paio di forbici.
Monica era deliziosa con indosso solo quella maglietta, nessun altro indumento la rendeva bella a quel modo. Per lei, lui voleva il meglio.
Decise quindi di affiancare i desideri di entrambi, come due cuori e una capanna, per aumentare in lui l'illusione che tutto fosse reale.
Telefonò a lavoro, si prese un giorno di malattia e si mise all'opera.

Costruire uno scollo ad una maglia, non era di per sé complicato. Il lavoro più ostico consisteva nel poterci cucire un bordo, in modo da non scucire il tessuto. L'altra difficoltà consisteva nel creare un bello scollo, equivalente in quarti, pari davanti e dietro, in modo simmetrico.
Guardò tutorial su internet, si armò di precisione e gessetto e tirò la linea guida.
Entro sera, faticosamente, ebbe finito.
Monica bussò alla porta: appuntamento extra, prenotato per poterle regalare il nuovo indumento e vedere come le stava.
Il suo tacco dodici varcò la stanza e deciso si diresse verso la camera.

Quella notte non durò molto, giusto il tempo di amarsi.
Lui le porse la maglietta e le sorrise. Lei alzò il sopracciglio e scosse la testa.
"Fidati", le disse sempre sorridendo.
Monica prese la maglia e la aprì. Era deliziosa, con un armonioso scollo a barca e delle imperfette cuciture stile Frankenstein.
Ricambiò il suo sorriso e gli diede un dolce bacio sul naso.
"Per te niente è impossibile", gli disse.

"Farmi amare da te, sì", pensò.

Next: Vorrei che leggessi di me

domenica, giugno 16, 2013

Un'altra maglietta

Previous: Cena per due

"Ma cosa c'è?"
"Niente, caro. Niente."
"Andiamo Monica, sono quindici minuti che te ne stai seduta sul letto, con le gambe incrociate, a fissare il vuoto.", le disse avvicinandosi.
Si sedette accanto a lei, senza toccarla. Abbastanza vicino da sfiorarla, da farle sentire che era lì, senza starle addosso. Chiuse gli occhi per un secondo e si sporse con il naso per annusarle i capelli, che le scendevano bruni come la notte fuori, sulle spalle.
"E' per la storia di tua madre, vero? Ti sei ammutolita dopo che ti ho chiesto dei tuoi. Ti sei allontanata e ti sei seduta sul letto."
Lei mosse il labbro in segno di stizza ma abbassò gli occhi. Era quasi contenta di esser stata scoperta, sebbene non adorasse sentirsi così vulnerabile. In fondo lui, per lei, era solo un cliente. E basta. Lei era la bella prostituta, la sua preferita.
Gli piaceva tanto farle indossare quella maglietta delle Olimpiadi della Matematica, quando stanca e inebriata dal sesso si fermava a riposare sul suo letto. Lui gliene aveva comprate due, tutte per lei.
Gli incontri si stavano facendo più assidui e una maglietta non bastava più.
Adorava vederla con indosso solo quello, i seni liberi sotto il tessuto e il culo che le si scopriva appena quando si alzava. Amava vederla vestita così, la faceva sentire sua. Era l'unica cosa, che la faceva davvero sentire sua.
Possederla non gli bastava più. Lui l'amava, ma quell'amore per lei non era niente di diverso da quello che sperimentava ogni giorno, con tutti gli altri.
Vederla immersa nell'unica cosa bella della sua vita, oltre lei stessa, era per lui fonte di enorme appagamento.
Monica, lui e la matematica. Quanto avrebbe voluto che non se ne andasse mai, che non si alzasse più da quel letto, che restasse seminuda in tutto il suo abbagliante splendore.
Monica, dopo aver fatto l'amore, è sempre tremendamente più bella di quando varca la soglia di casa sua, ad inizio serata.
Entra truccata, poco, vestita in modo sexy ma mai volgare. Tacco dodici e falcata sicura, gli dà un bacio e si dirige verso la camera, si siede sul letto e accavalla le gambe. Tutte le volte, come una routine, come se tornasse da lavoro e si recasse nell'antro sicuro che la ripara dal peso della vita.
Dopo aver fatto l'amore è sempre più bella di quando arriva.
I capelli arruffatti e gli occhi rilassati, il trucco intatto, il sorriso soddisfatto ma poco marcato sul suo viso, il senso di benessere.
E' un po' come guardare il viso di una madonna bruna e riccia e sentirne la beatitudine, in realtà meno casta di quanto si possa pensare.
Era bella Monica, quella sera: bella ma corrucciata. Bella come tutte le sere in cui si offriva. Bella come se fosse eterna, un po' come la matematica.

Next: Lo scollo a barca

lunedì, maggio 27, 2013

Annuncio che ho le tette!

Sono cresciuta! Grazie al potere della chimica ho le tette più grandi!
Cioè, non vi immaginate che io adesso porti una terza, una quarta o chissàche.
Riempio una seconda, piena, e tutto ciò mi soddisfa.

L'unico inconveniente, adesso, anche prima in verità, è non essere modellatamente piatta a sufficienza da poter competere con i corpi da modella delle tue ex.

Quanto disagio. Scriviamo la tesi, va'.

giovedì, maggio 23, 2013

Sono un cartone animato e mi arrabbio come tale: !!!*#@*?!#@ç!!!

Ci sono delle volte in cui essere donna è davvero faticoso.
Non mi riferisco a quelle giornate in cui hai il ciclo e perdi una quantità di sangue per cui ti chiedi come tu possa reggerti ancora in piedi. Non mi riferisco nemmeno a quei momenti in cui sei palesemente un cesso trascurato e il tuo ragazzo ti dice che sei bellissima; nemmeno a quelli in cui sei palesemente uno schianto ma lui non lo nota.
Sì può tutto tollerare, fin qui.
Non mi riferisco nemmeno a quando devi depilarti ma non ne hai voglia, a quanto tempo devi perdere davanti allo specchio per essere socialmente accettabile.

Essere donna è davvero faticoso in momenti molto meno banali di quelli che si possa pensare. E' faticoso quando ti guardi allo specchio, sempre: che tu abbia solo 50kg addosso o 70, ti senti sempre "nu sacc e munnizz, babà".
Guardi la tua cellulite e le foto ipermegasuperlucide e patinate delle bellissime donne della pubblicità o della televisione. Guardi le tue piccole cicatrici in faccia, i brufoletti e poi ancora quelle pagine.
Così mandi al diavolo tutto, non ti guardi allo specchio, prendi la sciarpa e la giacca ed esci.
Ed era meglio se stavi a casa: le donne ipermegaperfette sono anche intorno a te! Evviva!
La loro pelle uniforme, frutto della costanza nell'immergere la faccia nel più costoso fondotinta; i loro occhi grandi, definiti da mascara, ombretto, eyeliner e mille segate che non sai nemmeno usare; mani curate, dita lunghe e affusolate che vorresti prenderle in prestito per potercele sgozzare.

Infine rassegnarsi all'idea che il tuo ragazzo scopava di più con la sua onnipresente (almeno nella tua testa, dice lui, e noi gli crediamo) ex che con te, mentre tu, povera pulce sciatta, sei sotto tesi.

Andatevene affanculo.

venerdì, maggio 17, 2013

La bile preventiva

Va bene, lo ammetto, capisco la vostra preoccupazione: mi rendo conto che la quasi totalità delle cose che scrivo sono spruzzi di acido muriatico qua e là intorno alle persone.

Tutti poi mi chiedete: "Bi, ma c'è qualcosa che non va? Come mai questo spruzzo di veleno?".
Spesso quando scrivo cose forti come un pugno nell'intestino, è solo per il mero gusto di sfogarmi, che è il motivo per cui questo blog è ancora qui.
Ci sono volte in cui però mi guardo intorno e non posso affermare "c'è qualcosa che non va", mentirei, e tutto ciò che esce fuori in quel momento è solo bile, a questo punto penso che sia solo "bile preventiva". Sai, per non arrivare ad avere sovraccarichi finali in cui, per puro spirito di autodistruzione, decidi di mandare a puttane tutto.

In questo momento non c'è niente che non va. Sicuramente se ci fossi tu, sarebbe più divertente.

giovedì, maggio 16, 2013

Lista di opinioni più o meno condivisibili

Credo che chiunque sia dell'opinione che al mondo non esista niente di più bello:
  • dell'amore di una madre, sempre che non si sia stati abbandonati in un cesso di un fast food al momento di respirare il primo gelido rancido alito di vita;
  • dell'abbraccio di un fratello, sempre considerando di non aver vissuto in famiglia come figlio unico, solo come un cane anche a scuola e deriso finora da persone e animali;
  • del sorriso di una donna, sempre riferendosi però a canoni di bellezza puramente irraggiungibili, fittizi e gravosi per cui bisogna rifugiarsi in un'immagine photoshoppata della più bella donna di sempre, per trovare il più candido, caldo e sfavillante sorriso.
Probabilmente l'unica soluzione per non rendere scontento nessuno, è essere gelidi, insensibili e ciechi.

lunedì, maggio 06, 2013

Smettere di rovinarsi gratuitamente l'umore

Riscoprire la sensazione di non avere più niente a cui pensare, è sempre un indimenticabile momento. Pensare che l'unica cosa che ricorderai sarà solo il momento in cui hai smesso di pensare alle cose intorno, fornisce sempre impagabili soddisfazioni.
Distruggere progetti di gruppo, nati dalle migliori aspettative e promesse; concludere bruscamente rapporti umani e lavorativi; non avere più niente che ti rovini gratuitamente ed insistentemente l'umore: quante soddisfazioni tutte insieme!
Chiudere per guardare avanti ad altri progetti, svolti in collaborazione solo di se stessi, per poter arrivare ad aspirare di poter essere ogni giorno una persona migliore.
Perché le uniche persone a cui devo qualcosa non sono i miei amici, i miei fidanzati o chissàchi.
A loro non ho niente più da dare di quello che meritavano. Ed ora, andiamo avanti.

lunedì, aprile 29, 2013

Un minuscolo elenco

Mi piace fare progetti con te.
Mi piace pensare che un giorno avremo un cane, o forse due; un bambino che muove i primi passi e che ci farà venire voglia di averne altri.

Mi piace fare progetti con te.
Mi piace ancor di più, renderli concreti, insieme a te.
Mi piace poter raccontare ai miei genitori della possibilità di andare in un posto con te, lo stesso posto in cui volevi portarmi un anno prima.
E' passato un anno e poco più, e mi piace realizzarlo quando mi sdraio sul letto a giornata conclusa, guardando il soffitto, lasciandomi andare.

Mi piace pensare di portarti al mare, insegnarti a nuotare; mi piace pensare che un giorno sarai tu, a portarmi al mare, magari in motocicletta mentre, appoggiando la testa sulla tua schiena, guarderò il mondo fuori, scorrere, velocemente.

Mi piace prenotare i nostri posti del treno accanto, così possiamo tenerci la mano. Mi piace immaginarci in viaggio, con me che poggio la testa sulla tua spalla e mi addormento, sorridendo.

Mi piace poterti dare la possibilità di amarmi, perché mi sono resa conto che forse ti ho ingiustamente privato di troppe cose. Mi piace poterti sentire al telefono, quando sono lontana; mi piace poterti sentire "addosso", quando mi sei vicino.

Mi piace fare progetti con te e mi piace poter pensare che ho ancora tempo per rimediare.

sabato, aprile 20, 2013

19/04/2013 - una settimana dopo

Non ha senso continuare a scrivere per dare la possibilità di leggere alle stesse persone che quando hai bisogno di parlare non sono davvero pronte ad ascoltarti.

giovedì, aprile 04, 2013

La pigrizia nei proverbi

"La pigrizia è il rifugio degli spiriti deboli." (Philip Stanhope)
Difficile alzarsi dal letto, quando non si ha alcun motivo per farlo.
La trascurabile banalità della vita, può indurre a pensare di non avere nessuna ragione per cui valga la pena fare l'enorme sforzo di alzarsi dal letto.
"Il letto è la prigione dell'uomo pigro."
Vedere il sole, lasciarsi bagnare dalla pioggia; leggere un libro da soli, godere della compagnia degli amici; piangere lacrime amare, inebriarsi del riso di un fratello: niente è abbastanza potente da vincere il tuo malessere.
"Per la via di "poi, poi", si arriva a casa di "mai, mai"."

giovedì, marzo 28, 2013

La filosofia del marketing

Scriviamo quando stiamo male solo perché non sappiamo parlare delle cose belle.
Scriviamo quando stiamo male, probabilmente, perché non siamo in grado di rendere la gioia una cosa fica quanto il dolore.
Scriviamo quando stiamo male perché è più facile risultare interessanti.

Quasi come se le cose allegre e leggere fossero stupide o banali, mi sono sempre chiesta come mai non ci sia mai una bella notizia sui giornali tipo: "Finalmente non verrà rimandato il processo".
In fondo resta un notiziario, ed io mi chiedo sempre: "perché il bello non fa notizia?"

Le opere migliori sono frutto di un profondo senso di disagio e malessere: tali scritti risultano neri, cupi e riescono in qualche modo a colpire anche il più duro dei cuori.
Credo che scrivere un romanzo, un racconto breve, che sia divertente o anche solo piacevole ma non amorfo, sia una cosa assai difficile.
Il dolore ci accomuna tutti: è per questo motivo che il nero vende.

lunedì, marzo 18, 2013

La colpa è degli ormoni

Le donne hanno questa fantastica opportunità di poter dare la colpa di qualunque cosa ai loro sbalzi ormonali.

"Sei uno stronzo, un ipocrita menefreghista. L'ho capito adesso, finalmente, dopo tanto tempo! Fra noi è finita!"
"Ma cara, se stiamo insieme da solo 3 mesi. E' finita cosa?! La marmellata in frigo, sì, quella è finita davvero."
"COSA?!? E' finita la marmellata?! Ommioddio, voglio morire."

"Oggi mi faccio una bella doccia rigenerante, esco di casa, faccio la spesa e vado a trovare il mio fidanzatino Clark a lavoro! Che bello, come sono contenta!"
"Amore, ma oggi ho la riunione a porte chiuse con il consiglio amministrativo, non puoi..."
"SEI UNO STRONZO! Tu non mi ami e ti vergogni di me! Ti odio!"

L'uomo si trova sempre senza parole quando accadono eventi del genere.
Gli amici, solo perché non devono trombarsi/sopportare/capire/amare quella donna, si limitano a dirgli: "Beh, sono gli ormoni" oppure "E' fatta così, lo sai" oppure "Dai, le passerà, magari è in premestruo".
Le donne sono quindi "giustificate" ad avere un comportamento totalmente senza senso: non solo questa è anche la loro stessa giustificazione, per di più anche gli uomini gliela lasciano passare.
Chiariamo, non sto affatto dicendo che tutto ciò non sia vero: le donne sono fortemente comandate dai loro ormoni, così come gli uomini sono fortemente comandati dai loro impulsi sessuali. Ciò non significa che sono tutti fatti allo stesso modo, ma una grossa parte di loro tende a rientrare nella mera generalizzazione.
Immaginate adesso di essere uomini (se credete di esserlo, rivalutatevi) e di avere una fidanzata in preda ai suoi ormoni con grossi squilibri dovuti alla metereopatia e di essere nel mese di marzo.
Ecco, auguri.

sabato, marzo 16, 2013

Dove la notte e il giorno s'incontrano

L'odore del piscio si sentiva al di là della porta, per questo quel coyote urlava come un matto. Entrò, nel buio, sbattendo un bastone contro l'inferriata della finestra urlando: "Io vi ammazzo! Io vi ammazzo tutti piccoli bastardi", visibilmente paonazzo in volto. Avevo una paura fottuta.

"Piccolo, sono io, non avere paura", mi incitò la dolce Maria: mi tolse le schegge di legno infilzate nei polpastrelli e disinfettò i piccoli squarci. "Domani, vedrai, ti porteranno via di qui. Domani avrai una casa, piccolo". Mi sorrideva, sincera, ed io le credevo.

"Ringraziate che sono buono e non vi ho ancora trucidati tutti! Piccoli luridi bastardi! Ringraziate, sporchi luridi ingrati", urlava. Continuava a sbattere il bastone come un dannato, quel diavolo! Avevo tanta paura, volevo la mia mamma. Corsi in un angolo e mi pisciai addosso: lui mi vide.

Tornò con del disinfettante e delle pinzette chirurgiche e mi si avvicinò. Mi chiamò: "Piccolo, vieni". Non mi avvicinai, sebbene sapevo che voleva solo aiutarmi. "Andiamo su, vieni, piccolo", mi incalzava. Volevo davvero andare da lei e darle un bacino, ma ero vergognosamente sporco di piscio.

"Lurido figlio di puttana!", urlò e, sbattendo il bastone contro tutte le inferriate che mi separavano da lui, iniziò a correre verso di me, rosso in volto con gli occhi di un cane affamato, solo e ferito. Chiuso in un angolo, annaspando nel mio piscio, non potevo scappare e lui mi colpì forte con il bastone.

Maria era sempre tanto carina con me. Era passata a farmi una coccola, quella mattina, e a pulire il mio piscio, come tutte le mattine. Maria aveva i capelli raccolti e un'aria sempre stanca, eppure riusciva sempre a infondermi speranza quando mi sorrideva. Guaii e le mostrai la zampetta.

domenica, gennaio 06, 2013

La bellezza si paga

Hai presente quando ti svegli una mattina con l'odore del pane caldo provenire dal piano di sotto, mentre gli uccellini fuori cinguettano allegri alle prime luci del mattino e ti rendi conto che sei soltanto una pazza schizofrenica che sta immaginando tutto nel suo letto sfatto in un giorno uggioso?
Riprendiamo fiato.
Beh, è così che mi sento ventinove giorni su trenta al mese.
Uno schifo totale.

Sono Marilyn e sono una mora qualunque che abita in una città nevrotica quasi quanto ogni suo abitante;
sono una donna di trent'anni, non più bella, non più affascinante, con un lavoro odioso e mediocre;
sono una donna come tutte le altre, come quelle che incontrate quando andate a fare la spesa, che vi ritrovate alla fermata dell'autobus, che fanno la coda in banca per ritirare lo stipendio;
sono una donna che non sa cosa vuole ma lo vuole subito perché la vita è breve e non si può attendere, perché altrimenti spuntano le rughe per poi ritrovarmi sola con una rivista di gossip in mano.

La mia vita si colora di rosso, un solo giorno al mese.
So cosa avete pensato ed è banale. Voi siete banali.
Non era, però, ciò a cui mi stavo riferendo.
Il rosso è un bellissimo colore: esprime forza, passione, rabbia, amore.
La mia vita diventa "radiosa" soltanto il quattro di ogni mese: adoro quando giunge il quattro dicembre e corre via per lasciare spazio al quattro gennaio.
Pensate, è proprio il mio odioso e mediocre  lavoro, a regalarmi la grande gioia tanto attesa: il giorno di paga!

Il quattro di ogni mese, metodicamente ritiro i soldi in banca e mi dirigo verso l'edicola più vicina: compro Vogue, Cosmopolitan e Glamour, e di corsa verso casa.
Non importa se fuori c'è il sole o piove a dirotto.
Non importa se il cane vuole uscire fuori a pisciare o se mi ha già pisciato in casa.
Non importa se c'è da stendere i panni della lavatrice prima che puzzino di muffa.
Non mi importa di niente: oggi è il quattro ed io ho le mie fottute riviste.

Chiudo la porta di camera e lascio il mondo alle mie spalle.
Le lacrime scorrono copiose sulle mie gote quando inizio a strappare dalla prima rivista ogni sua singola pagina, una per una, una dopo l'altra.
Prendo l'altra e la smembro viva, nella sua interezza per ridurla in cenere. Cenere: come hanno ridotto me. Sfibro anche l'ultima rivista e mi ritrovo la camera sommersa di fogli.
Modelle belle ovunque, in camera mia, con i loro patinati sorrisi ed i loro corpi perfetti.
Le migliori marche di profumi giacciono sopra il letto; quelle di make-up, sotto.
Belle, belle in modo assurdo; belle da fare schifo; belle da farti stare male; belle da farti vomitare.

Raccolgo tutte le pagine, con certosina precisione, assicurandomi che ogni bellissimo raggio di sole che sbuca dai loro brillanti sorrisi, sia stato catturato ed inglobato nel mucchio di carta che ho in mano.
Smetto di piangere e, una volta in salotto, ripongo le bellissime modelle fra la cenere del camino, prendo l'alcool etilico e le brucio.

venerdì, gennaio 04, 2013

L'amico delle donne (pt. 1)

Cena per due

Monica mi annebbia la vista, perdo il senno totalmente ogni volta che la penso: la foga nel parlarvi di ha lei mi ha fatto dimenticare le buone maniere.
Non mi sono mai presentato, ecco, e me ne rammarico molto: sono Italo e sono un professore di matematica, sebbene questo lo sappiate già.
Monica è la stella più luminosa del firmamento: è normale dimenticarsi di se stessi quando si ha a che fare con quella sublime creatura, eppure oggi non sono qui per parlare di lei.

Le donne che, in questo momento, mi stanno prestando la loro attenzione, avranno già colto la sottile, maliziosa intenzione celata, che agli uomini sarà sicuramente sfuggita nel leggere la mia presentazione: se non avessi sentito il bisogno di parlarvi di me, non vi avrei mai detto il mio nome.
Ebbene sì, era una bugia di tornaconto quella delle buone maniere, della dimenticanza; non lo era però come Monica mi riduce, come le donne in generale, mi riducono.

Sapete una cosa? Margot, la maitresse della casa di tolleranza dove Monica offre i suoi servigi, è la mia unica amica e mi ha soprannominato "l'amico delle donne".
Capite? Che beffa. Credo faccia un insolito effetto leggere "è la mia unica amica" e sapere che il soprannome affibiatomi è "l'amico delle donne", vero?
Beh, come biasimarvi: pare che l'incoerenza guidi l'uomo in ogni sua azione.

Ho iniziato a raccontare a Margot tutta la mia vita sugli splendidi, comodi divani in pelle nera della sua casa, la prima volta che andai a scegliere una ragazza.
Mi mostrò un catalogo dove aveva raccolto un fascicoletto su ognuna di loro: foto, segni particolari, specialità e molto altro.
Quella sera scelsi Elisa: una fan del sadomaso; così, per provare e partire in quarta.
Dopo la scelta, Margot non aveva altri clienti da servire e così mi trattenni a chiacchierare.

L'infelice domanda che mi fece, "come mai ha deciso di ricorrere all'amore vacuo, sir?", riportò in me alla mente troppi ricordi, molti dei quali avrei preferito restassero dov'erano.
Vi risparmio tediosi racconti della mia vita da inetto per centrare il fulcro della questione: l'origine del soprannome. Vi racconterò dunque di Irene e Marlene.