venerdì, marzo 30, 2012

Omaggio a Vinogradovspotting

Scegli di vivere una passione irresistibile, di quelle che ti mozzano il fiato.
Scegli di viverne altre, e ancora, e ancora, e ancora.
Scegli di fartele piacere, tanto, così tanto da renderle vitali.
Scegli di abbandonare ogni sano principio, ogni certezza, ogni sicurezza, per seguire la cosa più insana che potessi mai incontrare.

Scegli di non essere più quella che sei, ma quella che eri.
Scegli di non essere, ma di avere.

Scegli di avere ancora 20 anni, per poter oscillare fra l'età effettiva, di cui non riesci a tenere più il conto, l'età ideale e l'età mentale.
Scegli di avere i capelli rossi ed il costante sorriso sulle labbra.

Scegli di nasconderti dietro un dito.

Scegli di distruggerti e ricostruirti.

Quando scegli di non ammettere di avere un cuore, vuol dire che sei arrivato all'acme dello zen, ora, però, muoviti e scendi di lì!

venerdì, marzo 23, 2012

Metabolizzare la separazione

Era evidente, era tutto così fottutamente evidente.
Guardati. Guardami.
Il torpore di una solitudine che sembrava remota e dispersa nell'etere aleggiava, invece, sulle nostre spalle da tempo; non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Eravamo soli, insieme. Eravamo due mondi appartenenti a diversi sistemi planetari, destinati a non comunicare più, se non tramite l'unione, vile e cruda, fra il selvaggio estemporaneo impeto di rabbia e quello di gelosia.
Eppure, guardami, guardati, non eravamo ciò che credevamo, per quanto bello possa esser stato: tremendo è stato quel mese e mezzo che sembrava non passare mai; tremenda è la gioia che ora ci perdave, individualmente.

Guardati, guardami: siamo tornati quello che eravamo prima di completarci.
I vecchi amici, tu; i nuovi amici, io.
La piazza, le serata in casa, tu; la matematica, la facoltà, io.

Il verdetto è arrivato con la spiazzante sensazione del déjà vu: riprendere in mano la propria vita, le proprie passioni, abbandonate per colpa della simbiosi.
I gesti più semplici e naturali; leggere, scrivere, piangere; gli stessi semplici, stupidi, naturali gesti che avevo smesso di fare, sono ora la mia vita, di nuovo.

Tiri fuori la lingua e mi ricordi lui, ed io ti sono immensamente grata per avermi liberato: il più bel gesto d'amore che potessi mai fare, per me.

lunedì, marzo 19, 2012

Ora meglio, grazie

"Come stai?": in alcuni momenti è l'unica cosa che vorremmo ci chiedessero.

Siamo costretti ad aspettare una vita, prima di trovare qualcuno che si interessi a noi.

La verità è che, per tutta la vita in cui abbiamo atteso, non ci siamo mai resi conto di aver sempre avuto qualcuno accanto, a prendersi cura di noi, che non aveva bisogno di chiederci niente: quando voleva sapere, ci guardava, e noi gli rispondevamo.





sabato, marzo 17, 2012

Schedulando le donne si schematizza il rancore

Le donne sono degli esserini difficili, terribilmente difficili.
Diventa tutto un enorme, insormontabile problema quando entra in gioco il fattore X, di troppo. Anche dire "ciao!", genera un segmentation fault!

Con loro è impossibile riuscire a rapportarsi da pari: sarai sempre inferiore, dunque non meritevole della loro attenzione, o nettamente superiore, in tal caso le femminili paturnie non consentono un normale confronto; non riuscirai mai ad essere al loro livello. Mai.

Le donne sono o madri o figlie: non riescono mai a trovare una fottuta via di mezzo, diventando compagne.

Le donne sono radicali, soprattutto quando di mezzo c'è l'amore: ti amano alla follia e darebbero la vita per te, un giorno; il giorno dopo sei semplicemente una persona a cui vogliono bene, fra i tanti.
Quando amano lo fanno con totale trasporto e abbandono, in modo completo, travolgente, estenuante. Quando smettono di amare, non c'è niente che le farà tornare indietro. Rassegnati, è finita.

Succubi del partner o indomabili libertine.
Graziose educande o impure scellerate.
Melense caramelle di zucchero o tremende schizzate di bile e limone.

Le donne sono difficili da gestire, sempre: in più, da sbronze, mestruate o stressate, diventano terribili; quando poi sono simultaneamente compresenti tutti gli aggettivi, diventano impossibili.

Rapportarsi con le donne è come giocare a DOOM, modalità Nightmare.
Le donne hanno pensieri che difficilmente ti esporranno: troppo complessi per un'idiota del tuo calibro o decisamente ridicoli, una marea di stronzate, per un fottuto genio come te.

E' difficile anche indovinare quando una donna contraccambia un interesse.
Il 90% delle volte il target scelto è sbagliato, il restante 10% ricevi dei "no" da donne che corrispondono il tuo amore. E allora, fanculo.

Le donne intimoriscono brutalmente: ti stringono la mano, ti abbracciano, ti fanno gli occhioni dolci, ti danno un bacio sulle labbra, ma alla fine non sono interessate a te. E allora, fanculo, due volte.

Ho smesso di provarci con le donne, continuerò a guardarle sospirando: e poi si lamentano anche, di quanto sia difficile attrarre a sé un uomo!

Il mio commento: se solo tu la smettessi di comportarti da vedova nera o mantide religiosa con la puzza da snob sotto al naso ed il tuo imperturbabile viso che non può accennare un sorriso altrimenti "oh-mio-dio mi si rovinerà il trucco", potresti avere tutti gli uomini ai tuoi piedi, senza doverli stuprare per poter fargli capire che ti piacciono - anche se, comunque, non lo faresti perché "una ragazza non fa queste cose". Rutto sonoro.

Ci vuole fascino, non insipida bellezza.

E poi, donne, piantatela di rifiutare le persone che vi piacciono - sul serio, è frustrante! - solo perché "me la devo tirare", "mi deve desiderare", "ce l'ho solo io e non la do ad uno straccione come te".

Donne, siete difficili. Terribilmente difficili.
Datevi una cazzo di regolata, porca miseria!

martedì, marzo 13, 2012

La cura

"Se non sei in grado di curare una pianta, vuol dire che non sei in grado di curare un'altra persona", mi ha detto oggi FC.

Sono profondamente d'accordo con le sue parole e, mio malgrado, le sottoscrivo.
In aggiunta, mi arrogo il diritto di aggiungere che "se non sei in grado, nemmeno, di curarti di te stesso, vuol dire che non sei, a maggior ragione, in grado di curare un'altra persona".

sabato, marzo 10, 2012

Il sorriso di Andrea

Andrea si avvicinò all'uomo seduto sulla panchina: gli corse incontro e si fermò davanti a lui che, con i gomiti poggiati sulle ginocchia, era chino su un libro.

Era un uomo spento, spossato, terribilmente stanco. Le rigonfie borse sotto gli occhi lasciavano libera interpretazione alla sua nottata passata. Probabilmente aveva pianto un sacco, pover'uomo: lo sguardo perso, sulla pagina, inseguendo immobile una parola che non trovò mai.

Andrea lo toccò senza fargli male, con la punta dell'indice, scuotendogli leggermente la testa.

L'uomo trasalì e sgranò gli occhi, disarmato nel vedersi estirpato da quella pagina, e gli balenò per un solo eterno attimo la sua più grande speranza, sgretolata: non avrebbe mai trovato quella stupida parola.

Deglutì, chiuse gli occhi, provò a rilassarsi, li riaprì ed alzò il capo: un'insolente bambinetta era ciò che gli si mostrava davanti.

Una maleducata creatura, di non più di 8 anni, l'aveva scosso dal suo torpore. Insolente. Maleducata.

Impassibile la guardò, a labbra serrate e con sguardo assente, mentre lei sfoggiava uno dei più candidi e gioviali sorrisi.

- Desidera? - le disse.

- Ciao, io sono Andrea. Tu chi sei?

Stordito dall'insensata ed ingenua domanda, spaesato per questo assurdo evento, guardò la bambina che sembrava scrutarlo, osservarlo, studiarlo. La sua espressione guadagnò tonalità di severità e rimprovero, che corredavano l'imperscrutabilità di quell'uomo rude.

- Mi chiamo Peter. E tu mi hai disturbato. Hai interrotto la mia lettura. Hai qualcosa di importante da dirmi o posso ritornare al mio libro?

- Avevi lo sguardo fisso, non si legge così! Se vuoi ti insegno come si fa! - e sfoderò un abbagliante sorriso - La mia mamma mi fa leggere sempre tante pagine!

"Lei, insegnarmi qualcosa? Una stupida supponente bambina di non più di 8 anni, insegnarmi qualcosa?!", pensò, ed iniziò a sudare freddo, dalla rabbia.

- E come ti ha insegnato a leggere, la tua mamma? A voce alta, affinché tu scandisca bene le parole? O nella tua mente, cosicché tu possa andare oltre il semplice scritto e ritrovarti immersa nel mondo descritto?

- La mia mamma mi ha insegnato a leggere, non mi ha detto in che modo farlo... Mi ha solo detto di applicarmi, di impegnami, di desiderare di imparare. Non pensavo nemmeno esistessero tutti questi modi per poterlo fare, signore! Vuole insegnarmene qualcuno?

L'uomo la guardò, scettico. "Ma da dove è saltata fuori e da me, che cosa vuole?".

- Dove sono i tuoi genitori, piccola?

- Sono morti, signore. Ed io corro per il parco tutto il giorno, scuotendo le persone assopite.

S'inquietò moltissimo per la risposta e una coltre di ricordi lo sommerse.
Si divincolò, al solito, senza riuscire a tirar fuori la testa: quando gli succedeva di essere sommerso dal peso del suo essere, l'unica cosa che faceva era aspettare - la coltre sarebbe andata via da sola.

Qualche secondo dopo, attanagliato dal peso della memoria, con l'angoscia che saliva sempre di più, impiantandosi nell'intestino come un verme che entra nell'organismo dall'ombelico ed inizia a distruggere le funzioni vitali di tutte le cellule, ricordò le parole della stolta: "mi ha solo detto di applicarmi, di impegnami, di desiderare di imparare."

Chiuse gli occhi: iniziò a pensare all'austera severità della madre, che tante cose gli aveva insegnato, e alla pazienza inenarrabile del padre, rimasta al suo fianco fino all'ultimo, fino ad allora, importante giorno della sua vita.
Sorrise, e una lacrima gli percorse il viso.

Aprì gli occhi e vide il sole. La nube era sparita e davanti a sé aveva ancora quella bambina che lo guardava, sempre maledettamente sorridente.
Insolente. Supponente. Maleducata.

Si accorse, suo malgrado, che le stava ricambiando il sorriso. Trasalì.

- ANDREAAA! Torna subito qui, maledetta!!! - gridò a piena voce un uomo, in lontananza, che si dirigeva verso di loro agitando le braccia e correndo come un disperato.

- Devo andare, signore. La gente si diverte ad inseguirmi mentre corro per il parco tutto il giorno, scuotendo le persone assopite.

Andrea socchiuse gli occhi, si voltò e corse via.

domenica, marzo 04, 2012

Benda sulla fronte


Lui e lei s'incontrarono: un solo sguardo servì loro a capire che non si sarebbero mai separati, nel bene, nel male.

Lui iniziò a vomitare, sangue e veleno, sugli splendidi vestiti di lei. Indossava una maglietta rosso carminio, che non s'intonava particolarmente col rosso grumoso schizzato qua e là sul tessuto. Il risultato era simile all'accostamento di due diverse tonalità di nero: ripugnante e antiestetico. La punta delle sue scarpe era diventata viola, intrisa di vodka e pezzi di frutta, di granatina e vino, ulteriormente fermentato.

Lei iniziò a sudare e ad agitarsi. Guardò le sue mani, lunghe e affusolate, contorcersi fra i capelli di lui, ormai corti e sottili. Guardò la sua fedina. Si voltò, riconobbe in quel cestino dei rifiuti la sua perfetta storia d'amore durata tre anni. Sgranò gli occhi, poi li socchiuse, sforzando enormemente la vista: non riuscì a riconoscere la motivazione che avvolgeva quel fagotto.

Lui era agonizzante e puzzava di vomito. Un acre odore emanava, simile a quello dello sperma più acido che si possa concepire. Puzzava di fogna, puzzava di bile, e piangeva. Urlava strane bestemmie, parlava di merda, denigrava l'operato più sincero. I "ti amo" si intervallavano ai "ti odio", arrivati dal nulla e nel nulla si dirigevano. Le parole sembravano non avere più un'anima, un concetto profondo: erano state liberate, ed ora fluttuavano nell'aria come bolle di sapone, pronte a scoppiare e sparire per sempre.

Lei lo aveva visto tante volte piangere e, in tutte quelle volte, non era mai riuscita a generare una lacrima dai suoi cinici occhi, a ricambiare lo straziante stato d'animo in cui lui giaceva. Forse una volta o due ce l'aveva fatta, ma l'impercettibilità di quell'evento ha impedito alla storia di essere trascritta, e non ne rimane memoria. Lo aveva visto tante volte piangere, lui che ha sempre avuto il coraggio di dimostrarsi infelice, impaurito, insicuro, innamorato.