sabato, ottobre 18, 2014

Centottanta chilometri orari

Quando corre così forte su quella bicicletta, Andrea si sente quasi immortale. Sfreccia accanto ad una signora anziana in carrozzella, supera velocemente quel palazzo dal civico diciassette e continua la sua corsa all'impazzata giù per un cavalcavia.
Le lacrime le rigano le guance e bagnano Isabella dietro che le urla qualcosa di incomprensibile ma disperato; cadono copiose sulla strada che si sta lasciando alle spalle, perché nella vita o bevi e piangi o affoghi e piangi ma puntualmente ti tocca anche morire.
Le gambe graffiate, le ginocchia sbucciate, la ghiaia sottopelle di chi le mille cadute subite non le ha mai volute curare, ma ha lasciato che si integrassero a modo loro nel normale percorso di cicatrizzazione del dolore. Le nocche rosse e sanguinanti, spaccate dal vento e dai troppi cazzotti, hanno accarezzato per l'ultima volta il viso di Isabella proprio un attimo prima; la stessa Isabella che l'aveva tradita con un'altra nel suo letto; la stessa Isabella che aveva deciso di non transigere su nulla e adesso l'aveva persa, per l'ennesimo fatale errore.
Il ricordo di qualcosa che probabilmente non è mai esistito, le tormenta il cervello, le fa vomitare l'intestino e la fa correre su quella bicicletta il più veloce possibile per andare il più lontano possibile e schiantarsi a centottanta chilometri orari, dritta contro un muro.

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