giovedì, ottobre 15, 2015

Il terzo tempo

Chiedo consigli che molto spesso non ascolto. Perché lo faccio?
Per valutare tutto ciò che posso prima di prendere una decisione o solo per cercare di farmi convincere a non fare qualcosa. Per avere l'opinione degli altri perché per me conta, ma forse non quanto credo, per avere una visione d'insieme e farmi suggerire alternative che io non vedo.
Solitamente lo faccio quando nemmeno io sono così convinta nel voler andare fino in fondo, quando la mia scelta non è così ovvia o così facile da prendere, quando ci sono dei margini di rischio da considerare o quando non so effettivamente cosa voglio o cosa è giusto per me.
Lo faccio quando voglio che qualcuno mi fermi anche a costo di legarmi o mi motivi convincendomi che posso fare tutto quello che voglio.
La verità è che comunque faccio sempre di testa mia e anche se ogni tanto potevo risparmiarmelo, non mi sono mai pentita di nessuna delle scelte che ho fatto. Nemmeno di quelle completamente insensate e autolesioniste.

Ho deciso di affrontare la mia paura di farmi male, per adesso solo fisicamente. Mia madre avrebbe pagato affinché mi iscrivessi ad un corso di yoga: "ti farà bene, almeno impari a rilassarti!", mi aveva detto e io già immaginavo la noia mortale nell'andare in un posto, dover stare ferma immobile e in silenzio per interi, interminabili minuti e sperare di sentirmi un tutt'uno con l'universo. Forse mi avrebbe fatto bene, ma non lo sapremo per adesso.
Così ho deciso di iniziare a giocare a rugby, nonostante nessuno fosse entusiasta della mia scelta. "Sai che ti farai male?", "la gente corre verso di te e ti butta a terra", "ti massacreranno", "hai presente che sport sia, almeno?".
Al primo allenamento ho preso una gomitata nel naso, ho ancora un po' di livido. E una tacchettata sotto il mento di striscio, per gradire.
Al secondo ho giocato una partita amichevole e ho preso una botta alle costole. Credevo di piangere dal dolore, ma ho ripreso a correre e in cinque minuti era solo un ricordo. Poi mi sono salite su un piede e ho sentito i tacchetti infilzarsi nelle ossa delle dita del piede destro. Tempo di recupero: tre minuti. E' vero, il contatto c'è, è innegabile, ma decidere di giocare è stata una delle scelte migliori che ho preso nell'ultimo anno.
Ho preso qualche botta, è vero, ma in compenso sono davvero felice: mi sento a casa e sono tremendamente motivata. Le bimbe dicono che sono anche brava!, ma secondo me mentono per non farmi abbattere. Non importa più la pioggia perché noi giochiamo lo stesso. Non sento il freddo e la tristezza perché sono lì, seduta sull'erbetta, in cerchio con tutte le altre ragazze che mi hanno fatto subito sentire una di loro; Danilo è in piedi, ci parla come un padre e come tale ci rimprovera se necessario, ci motiva tantissimo e ci rende una cosa sola.
Dieci anni dopo mi ricordo che cosa meravigliosa sia avere un allenatore che crede in te.

Armata di scotch per coprire tutti i miei piercing, mi sento forte.
Perché il rugby non è una questione di stazza, è solo una questione di carattere e di forza. La tua squadra è la tua forza ed è tutta dietro di te, pronta a difenderti.
La cosa più dura del rugby? I ritmi da tenere durante il terzo tempo!
Troppe birre, troppo cibo, troppi uomini!

1 commento:

  1. Sono contenta ti stia piacendo! :D
    Quasi quasi faccio un salto anch'io!

    :*

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